C’è una tecnica collaudata che usano le minoranze estremiste di ogni colore e di ogni tempo che vogliono diventare maggioranza per la via più breve che una società democratica consenta loro.
Per giustificare l’esigenza di voltare rapidamente e radicalmente pagina si distrugge la dignità della cultura e della storia degli avversari, si individuano con inconsistenti e rozze analisi colpe e colpevoli, personalizzando cosi “il male” da colpire e da sconfiggere, additandolo all’esecrazione dei seguaci.
Si dà così l’illusione della forza, quella che domina la storia, che è in possesso della verità sugli uomini, sul loro passato e quindi sul loro futuro. La tecnica degli estremisti è un insieme di semplificazioni, slogan (“tutti gli slogan sono in uniforme», diceva Bernanos), falsificazioni.
Il tutto condito da un’arroganza che non conosce incrinature.
Questa tecnica non si è vista soltanto alle origini dei totalitarismi del nostro secolo. L’abbiamo vista anche in anni recenti della storia d’Italia. E adesso la ritroviamo in un contesto diverso, dove sembrerebbe impossibile, innaturale fosse applicata.
Anche dentro la Chiesa
La ritroviamo con sgomento dentro la Chiesa italiana, una Chiesa che era andata faticosamente e tra mille sofferenze e lacerazioni maturando e liberandosi da una serie di “tecniche” e “strategie” che nulla avevano a che fare con la sua missione di conservare nel mondo la speranza e l’attesa del Regno di Dio.
Si é detto: non vale la pena prendere sul serio l’inconsistenza culturale dell’estremismo cattolico, non vale la pena confutarne le semplificazioni, dimostrare la falsità di certe sue affermazioni.
Eppure la storia di questo secolo ci dice che le imbecillità non combattute diventano cultura diffusa e gli slogan più vuoti diventano i comandamenti a cui interi popoli si attengono.
Non è detto che per soppiantare una cultura se ne debba creare una di migliore. L’importante è che sia più convincente, meglio, più forte.
Cl attacca Lazzati che non può difendersi: allora lo difendiamo noi
Questo è il contesto nel quale è maturata la scelta di alcuni amici facenti parte del gruppo della “Rosa Bianca» (tra i quali chi scrive) di difendere, Diritto Canonico alla mano, davanti all’Arcivescovo di Milano la figura e l’opera di Giuseppe Lazzati gravemente offese da una campagna di stampa condotta dal settimanale “Il Sabato” espressione del movimento ecclesiale Comunione e Liberazione.
Un movimento che spesso applica al dibattito e al confronto interni alla Chiesa la collaudata tecnica delle minoranze estremiste che vogliono diventare maggioranza per la via più breve, e più comoda, e ciò crea dentro la Chiesa italiana una profonda tensione, un clima di perenne battaglia interna che impedisce alla stessa Chiesa di guardare più spesso, con più serenità, con più coraggio al di fuori dei propri confini.
L’estremismo che vuole il potere (e non solo la testimonianza), ha bisogno della lotta continua, deve continuamente fomentare lo scontro perché vive dello scontro, vive della speranza della distruzione dell’avversario, della vittoria definitiva.
Non interessa il confronto ragionevole perché qui il “male” da combattere si stempera e la “verità” da difendere si appanna.
E l’estremismo verrebbe meno a se stesso se non avesse un ben definito “male” da combattere e una indiscutibile “verità” da difendere.
“Traditore” a Lazzati?
Ecco allora “Il Sabato” additare nel cattolicesimo democratico, nella sua cultura e nei suoi migliori esponenti di ieri e di oggi (dal filosofo Maritain ai nostri Ardigò, Scoppola, Monticone ecc.) i corresponsabili della “scristianizzazione” dell’Italia.
Non solo. Arriva addirittura a parlare di “corrosione protestante” del cattolicesimo italiano, di “tradimento”. Anche Giuseppe Lazzati, morto nel 1986, e che per noi e per tanti è un maestro di vita cristiana, era inserito tra i “protestanti” e i “traditori”.
A noi sono parse accuse gravissime e illecite, che andavano ben al di là di un confronto culturale per quanto aspro.
Esse toccavano il senso stesso della vita di un credente, la radice stessa della sua testimonianza. Era il caso di prenderle sul serio? A noi e parso di sì. A noi è parso un dovere chiedere alla Chiesa, che Lazzati aveva servito per cinquant’anni in assoluta obbedienza e ai massimi livelli di responsabilità, di difendere l’onorabilità del suo fedele servitore, dato che questi non se la poteva difendere da sé.
Questo è il senso dell’Istanza presentata all’Arcivescovo di Milano. Un ricorso alla giustizia della Chiesa per difendere un giusto.
Una non acquiescenza alla violenza dell’estremismo che nella sua battaglia, piena di “nobili” intenti, non ha paura di colpire la dignità delle persone nel cuore stesso della loro testimonianza cristiana.
Antimoderni e antiliberali dove?
Ma dove sono poi tutti questi nobili intenti? Davvero tutti questi attacchi al cattolicesimo democratico sono dettati da un genuino, per quanto discutibile, spirito anti-moderno, anti-liberale, anti-borghese? Per certi aspetti parrebbe di sì.
Sembrerebbe infatti di ritrovarvi, talvolta, le vecchie tesi della destra cattolica degli anni ’60, allora efficacemente espresse da Baget Bozzo (rimandiamo al prezioso e forse introvabile saggio di Giovanni Tassani La cultura politica della destra cattolica, Roma, Coines, 1976).
E non è un caso che attorno a Comunione e Liberazione si sia andata coagulando, accanto alla nuova, la vecchia destra, a cui non sembra vero di trovare quell’asco1to che ieri non ha avuto, né nella Chiesa, né nella politica (neanche dal centro, neanche da De Gasperi).
Una destra che non ha mai accettato l’autonomia dalla gerarchia ecclesiastica dei cattolici in politica, che non ha accettato il Concilio Vaticano II, l’ecumenismo, il dialogo ebraico-cristiano, il confronto con la cultura moderna.
Onori a Gardini, Andreotti, Celentano e fango su Lazzati? In nome di che cosa?
Ma poi, dove finisce tutta questa antimodernità, tutto questo spirito antiborghese quando si tributano ovazioni a un principe del capitalismo come Gardini, quando si fanno fascicoli speciali devotamente dedicati a Celentano, quando ci si vanta della protezione e dell’amicizia di Andreotti e Piccoli, di cui ignoravamo lo spirito antiliberale?
Non si usano, piuttosto, parole e concetti culturali altisonanti per giustificare, spesso, operazioni di potere nella Chiesa s nella politica?
Perché fango su Lazzati e onori a Celentano? In nome di che cosa? Di quali grandi valori, di quale tradizione, di quale storia, di quale radicalità evangelica?
30 marzo 1988
Articolo-editoriale pubblicato su Il Margine, n.1, 1988 (chiuso in tipografia il 28 aprile 1988) interamente dedicato al caso Lazzati-Il Sabato-Rosa Bianca, con interventi di Vincenzo Passerini, Michele Nicoletti, Grazia Villa, Fulvio De Giorgi, con il testo dell’Istanza presentata all’Arcivescovo di Milano e schede su Giuseppe Lazzati e l’associazione Rosa Bianca.