Giuseppe Dossetti e la notte della politica

Giuseppe Dossetti

“Se vedi una persona saggia, va’ presto da lei;

il tuo piede logori i gradini della sua porta”

 

(Siracide 6, 36)

 

Vincenzo Passerini

GIUSEPPE DOSSETTI

E LA NOTTE DELLA POLITICA

Relazione tenuta a Caserta il 27 marzo 2001 nell’ambito dell’iniziativa “Per una politica della solidarietà”

patrocinata dalla Fondazione “don Peppino Diana” nel periodo ottobre 2000 – giugno 2001.

 

Sotto: il volume che raccoglie i testi delle relazioni

pubblicato dalle Edizioni Saletta dell’Uva di Caserta nel 2002.

 

 

 

 

 

 

Giuseppe Dossetti e la notte della politica

 

 

Se vedi una persona saggia, va’ presto da lei;

il tuo piede logori i gradini della sua porta.

(Siracide 6, 36)

 

Ascoltate, o re, e cercate di comprendere;

imparate, governanti di tutta la terra.

Porgete l’orecchio, voi che dominate le moltitudini

e siete orgogliosi per il gran numero dei vostri popoli.

La vostra sovranità proviene dal Signore;

la vostra potenza dall’Altissimo,

il quale esaminerà le vostre opere

e scruterà i vostri propositi;

poiché, pur essendo ministri del suo regno,

non avete governato rettamente,

né avete osservato la legge

né vi siete comportati secondo il volere di Dio.

Con terrore e rapidamente egli si ergerà contro di voi,

poiché un giudizio severo si compie

contro coloro che stanno in alto.

Inferiore è meritevole di pietà,

mai potenti saranno esaminati con rigore.

Il Signore di tutti non si ritira davanti a nessuno,

non ha soggezione della grandezza,

perché egli ha creato il piccolo e il grande

e si cura ugualmente di tutti.

Ma sui potenti sovrasta un’indagine rigorosa.

Pertanto a voi, o sovrani, sono dirette le mie parole,

perché impariate la sapienza e non abbiate a cadere.

Chi custodisce santamente le cose sante sarà santificato

e chi si è istruito in esse vi troverà una difesa.

Desiderate, pertanto, le mie parole;

bramatele e ne riceverete istruzione.

(Sapienza 6, 1-11)

 

Ho voluto cominciare citando due passi della Bibbia tratti da quei libri sapienziali che erano molto cari aDossetti e che lui suggeriva come particolarmente adatti alla formazione pratica dell’uomo politico.

Il primo passo, tratto dal libro del Siracide, ci invita a frequentare il saggio, ad andare presto e sovente da lui, al punto di logorare i gradini della sua porta.

Possiamo considerare Giuseppe Dossetti un grande saggio da frequentare assiduamente, al punto di logorare le pagine dei suoi scritti, o quelle che parlano di lui, perché vi troveremo insegnamenti preziosi nati da un’esperienza della vita, da una preparazione culturale e da una spiritualità tra le più alte dell’intera cattolicità italiana del secondo Novecento.

Il secondo passo, tratto dal libro della Sapienza, contiene un vigoroso ammonimento a che il politico, l’uomo di governo, colui che tiene in mano i destini del popolo si istruisca alla fonte della Parola di Dio per non cadere, per trovarvi luce e difesa. Perché verso di lui il giudizio divino sarà molto più rigoroso che verso il povero diavolo, esattamente l’inverso di quanto accade nelle vicende di questo mondo dove i potenti riescono spesso a salvarsi dal giudizio, pagando grandi avvocati, cosa non possibile al povero diavolo.

 

Testimoni della Parola

La Parola di Dio non è solo consolatrice, ma è spada che taglia, fuoco che brucia.

Non si può parlare di Giuseppe Dossetti e la politica se non cominciando con la Bibbia. Cominciando e concludendo con la Parola di Dio.

Dossetti ci ricordava sempre che

il cristiano è un testimone della Parola, anche in politica deve essere un testimone della Parola

(cfr. Dossetti e la Rosa Bianca).

È inutile sperare di operare da cristiani nel mondo senza alimentarsi costantemente della Parola. Così diceva a noi della associazione Rosa Bianca in un incontro di fine anno a Bologna nel 1986. Questo nutrimento quotidiano, costante, fiducioso,cappassionato e lieto della Parola di Dio è il pilastro su cui il cristiano costruisce la sua vita, tuttala sua vita, compresa la vita politica.

Questo è il messaggio fondamentale di Giuseppe Dossetti, il cuore della sua lezione di pensiero e di vita.

 

 

Assorbire, non usare la Parola

Ho voluto dire fin dall’inizio quale fosse l’argomento che più stava a cuore a Dossetti e che più dovrebbe stare a cuore a noi. A noi che vogliamo operare da cristiani nel mondo e perfino nella politica.

Non si tratta di usare la Parola, di citarla a comodo, di tenercela accanto come un prontuario buono per trovare una risposta alle domande e ai problemi che via via incontriamo nella nostra avventura di uomini e donne. No. Dobbiamo invece costruire una tale confidenza con la Parola che essa finirà per ispirare la nostra vita, per guidarla, per darle luce, per orientare il nostro pensiero e il nostro cuore, per capire il senso profondo degli avvenimenti, per discernere, cioè per capire, distinguere, decidere.

Non per trovare meccanicamente le risposte alle domande dell’economia, della politica, della vita privata e pubblica: non un uso integralista della Parola. Come il cibo e le bevande dei nostri pasti quotidiani entrano nel nostro sangue e alimentano la nostra vita, così dovrebbe essere della Parola di Dio. Da qui si parte anche per qualsiasi discorso sui cristiani e la politica.

Se non si parte da qui è tempo perso. Potremmo parlare di tante cose importanti, come la dottrina sociale della Chiesa, le encicliche, i discorsi dei Vescovi e del Papa, gli articoli dei giornali cattolici, i libri dei pensatori cattolici, e così via. Tutte cose importanti. Ma sono al servizio della Parola, non sostitutive di essa.

Ripetiamo ancora con Dossetti: è inutile sperare di operare da cristiani nel mondo senza alimentarsi costantemente della Parola. Parola ricevuta nella Chiesa, Parola personalmente frequentata e pregata. Parola, però, diceva Dossetti, che ancora non è stata restituita pienamente al popolo di Dio.

 

Un grande del Novecento

Ripercorriamo ora i momenti fondamentali della vita di Giuseppe Dossetti, perché è attraverso la sua vita che la sua lezione di cristiano e di politico meglio si spiega.

Giuseppe Dossetti è stato uno degli uomini più importanti della politica e della chiesa italiane della seconda metà del ‘900.

Professore universitario, poco più che trentenne tra i padri della nostra Costituzione, uomo politico di primissimo piano nella seconda metà degli anni ’40.

Quindi fondatore negli anni ’50 di un innovativo Istituto di scienze religiose a Bologna, poi fondatore di una comunità monastica che ha avuto in Italia un grande ruolo, per quanto appartato e poco noto, nel risveglio biblico e nella riscoperta dei Padri della Chiesa. Quindi sacerdote, poi consulente del cardinale Lercaro al Concilio Vaticano II nei primi anni ’60.

Un uomo quindi che ha vissuto da protagonista i momenti principali della vita politica e della vita ecclesiale nell’Italia della secondametà del `900.

Morì il 15 dicembre del 1996.

Negli ultimi due anni della sua vita era tornato, dopo tanti anni, a far sentire forte la sua voce nel contesto politico italiano, mosso dalla preoccupazione che la vittoria del Polo delle libertà nel 1994, che paragonò al precipitare nella notte, portasse allo stravolgimento della nostra Costituzione e distogliesse i cristiani dal dovere di difendere con coraggio i valori profondi e immutabili della carta costituzionale nata dalle macerie della seconda guerra mondiale.

 

La dimensione comunitaria del vivere

Giuseppe Dossetti era nato a Genova il 13 febbraio del 1913, ma era poi cresciuto nel paese di Cavriago, in provincia di Reggio Emilia, dove la sua famiglia si era trasferita poco dopo la sua nascita.

Il padre, torinese, era farmacista, la madre, diplomata in pianoforte, era reggiana. Come ricorderà tanti anni dopo, l’essere cresciuto in un paese fu un fattore decisivo della sua formazione. A Cavriago, dirà, ho fatto l’università della vita.

Lì apprende la dimensione comunitaria del vivere, il sentirsi parte di un destino comune, lì impara la solidarietà concreta tra le persone:

Questo senso di dover marciare con altri, di dover sempre rendere conto e di condurre la vita sotto gli occhi degli altri in una maniera molto circostanziata e specifica, questo senso l’ho appreso qui. Ed è per questo che non ho voluto essere un cristiano isolato, non ho voluto essere un prete isolato, che fa magari egregiamente bene il suo dovere secondo la sua coscienza e la sua particolare vocazione. Non era la mia, quella di essere un cristiano e poi un prete isolato, ma di essereun prete, o meglio un fratello, in comunità stretta, molto stretta con altri.

 

(cfr. Una grande solidarietà senza confini, in La Parola e il silenzio, p. 221)

 

 

Il piccolo Giuseppe con mamma Ines e papà Luigi.

 

Ogni momento della sua vita sia spirituale sia politica sarà profondamente caratterizzato da questa dimensione comunitaria, che traduceva nel concreto dell’esperienza quotidiana la concezione personalista della vicenda umana: la persona come essere in relazione con altri, non l’uomo singolo gettato in solitudine sulla terra.

Questa concezione della persona umana come essere in relazione con altri, che nella relazione con l’altro non si perde ma si esalta, si costruisce, si definisce, questa concezione sarà anche alla base dell’apporto suo e del gruppo dossettiano all’elaborazione della Costituzione della Repubblica italiana.

 

La scuola della Resistenza

Dopo gli studi superiori a Reggio, frequenta giurisprudenza a Bologna dove si laurea in diritto canonico. Si perfeziona quindi all’Università Cattolica di Milano dove, nei primi anni ’40, stringe amicizia con Giuseppe Lazzati, Giorgio La Pira (che insegna a Firenze) e Amintore Fanfani, personalità destinate ad assumere un ruolo di primo piano nella vita politica ed ecclesiale italiana.

È il gruppo dei professorini, come saranno chiamati, un gruppo che diventerà determinante, pochi anni dopo, nella redazione della Costituzione della nuova Repubblica italiana. Assieme ad alcuni altri intellettuali si riuniscono e cominciano a pensare a un programma politico di riforme per il dopoguerra.

Ma siamo ancora in guerra, e a Modena, dove era diventato nel ’42 professore di diritto ecclesiastico, Dossetti, rompendo con il fascismo che lo aveva allevato e attratto come quasi tutti i giovani della sua generazione, prende parte, tra il ’43 e il ’44 ai gruppi della Resistenza, dove svolge attività non armata e dove diventa presidente del Comitato di Liberazione Nazionale di quella provincia.

La partecipazione ai gruppi della Resistenza segnerà per sempre la sua vita.

Lì, al di fuori del qualificato ma anche angusto ambiente cattolico nel quale era cresciuto, impara a confrontarsi con persone di altra idea politica. Lì impara a misurarsi soprattutto con i comunisti, dai quali si sente distante sul fronte dei principi ideologici, a volte in netta contrapposizione, ma con i quali invece condivide, in termini concorrenziali, l’esigenza di una profonda riforma dello Stato e delle strutture economiche e sociali per creare una società più giusta.

 

 

Dossetti, seduto, col fratello Ermanno.

 

Cattolici all’avanguardia, non pigri conservatori

Nella Resistenza nasce il suo fermo e definitivo rifiuto di un ruolo conservatore dei cattolici in politica, quel conservatorismo pigro e comodo, come lo chiamerà in seguito, che caratterizzava gran parte della cristianità italiana e che lui sentiva del tutto in contrasto col ruolo del cristiano nel mondo.

I cristiani, per il nuovo Dossetti, dovevano essere l’avanguardia dei movimenti politici che si battevano per il cambiamento in nome dei più deboli, non la retroguardia.

I cristiani dovevano essere i più coraggiosi nell’impegno per la giustizia sociale, per la pace, per la dignità del lavoro, per la casa, per l’istruzione, per l’emancipazione, insomma, delle classi popolari, per il riscatto degli umiliati e offesi che rappresentavano la maggior parte della popolazione mondiale.

Non i timorosi, i prudenti, i pigri, i conservatori del presente per quanto sbagliato e ingiusto, o peggio, i giustificatori delle prepotenze, delle angherie, dei soprusi dei potenti a danno dei deboli.

Il pigro conservatorismo era per i cristiani una terribile malattia ereditata dal passato, una malattia totalmente antievangelica da cui bisognava guarire (quanto questa malattia sia ancora diffusa lo sappiamo molto bene).

Lì, nei gruppi della Resistenza, si consolida la sua profonda scelta antifascista: non un antifascismo superficiale o d’occasione, ma quasi esistenziale, quasi con radici religiose. Il nazifascismo aveva prodotto l’immane catastrofe della seconda guerra mondiale e dello sterminio degli ebrei: era anticristiano alla radice e i cristiani ad esso si dovevano opporre, sempre, senza titubanze, senza indulgenze, senza concessioni.

 

Subito ai vertici della Democrazia Cristiana

Nel giugno del 1945 viene chiamato a presiedere il convegno nazionale dei gruppi giovanili della Democrazia Cristiana che si tiene ad Assisi. Diventa poco dopo vicesegretario nazionale del partito.

La sua scelta di entrare in politica fu dettata da circostanze casuali, ricorderà più volte e con insistenza tanti anni dopo.

Su questa casualità, questa discesa in campo non programmata ma dettata dalla contingenza, da una particolare occasione che era venuta a verificarsi, Dossetti rifletterà in seguito per indicare una strada possibile per i cristiani che intendono impegnarsi in politica. Perché per Dossetti la politica doveva essere non una professione, ma un impegno temporaneo.

Un impegno assunto con assoluta competenza e creatività, in particolari circostanze, ma per alcuni anni, non per una vita. Ma su questo torneremo più avanti.

 

1950, Modena, Dossetti a un comizio con De Gasperi.

 

Protagonista all’Assemblea Costituente

È eletto nel 1946 deputato all’Assemblea Costituente e partecipa attivamente con La Pira, Lazzati, Moro, Amorth, Mortati alla Commissione dei 75 che prepara la Costituzione che sarà poi approvata alla fine del 1947.

Nella Costituzione confluisce il meglio del pensiero liberale, di quello cattolico e di quello della sinistra storica: libertà individuale, valore della persona umana, dimensione sociale dei diritti, tensione della struttura dello Stato verso la democrazia sostanziale, non solo verso la democrazia liberale del voto per tutti e della libertà di pensiero e parola.

Le firme di De Nicola, di Terracini e di De Gasperi sigillano coi loro nomi questo convergere delle tre principali correnti ideali e politiche italiane.

È nel contributo all’elaborazione della Costituzione che sta uno degli apporti più decisivi e duraturi di Dossetti alla storia del nostro Paese. E per difendere la Costituzione minacciata di stravolgimento Dossetti tornerà in campo, ottantenne, negli ultimi anni della sua vita.

 

 

La Costituzione è nata dal crogiolo universale della guerra

Perché questa appassionata, ostinata difesa della Costituzione?

Perché, spiegò Dossetti, essa è stata qualcosa di più di un prodotto della storia italiana, o il prodotto delle fusione delle citate tre culture politiche. Essa, disse,

è nata ed è stata ispirata da un grande fatto globale, cioè i sei anni della seconda guerra mondiale. Questo fatto emergente della storia del XX secolo va considerato rispetto alla Costituzione (…) come un evento enorme che nessun uomo che oggi vive o anche solo che nasca oggi, può e potrà accantonare o potrà attenuarne le dimensioni, qualunque idea se ne faccia e con qualunque animo lo scruti. (…)

Voglio dire che nel 1946, certi eventi di proporzioni immani erano ancora troppo presenti alla coscienza esperienziale per non vincere, almeno in sensibile misura, sulle concezioni di parte e le esplicitazioni, anche quelle cruente, delle ideologie contrapposte e per non spingere in qualche modo tutti a cercare, in fondo, al di là di ogni interesse e strategia particolare, un consenso comune, moderato ed equo.

Perciò, la Costituzione italiana del 1948 si può ben dire nata da questo crogiolo ardente e universale, più che dalle stesse vicende italiane del fascismo e del postfascismo: più che dal confronto-scontro di tre ideologie datate, essa porta l’impronta di uno spirito universale e in certo modo transtemporale.

(cfr. Le radici della Costituzione, in I valori della Costituzione, pp. 63-68)

 

Essa porta dunque l’impronta di uno spirito universale che le fa superare la stagione in cui essa fu pensata e definita, e lo stesso ambito nazionale, per ancorarsi a più vasti principi di umanità e civiltà.

 

 

Roma, 1946-7, Giorgio La Pira, Aldo Moro (al centro) e Giuseppe Dossetti durante i lavori della Costituente.

 

 

Appello ai giovani: la Costituzione non è vecchia

Mettere mano ai principi fondamentali della Costituzione significa togliere gli stessi da quell’universalità in cui nacquero per gettarli nella particolarità delle vicende politiche italiane del nostro tempo.

Eccolo, accorato, Dossetti che si rivolge ai giovani, nel 1995:

Vorrei dire soprattutto ai giovani: non abbiate prevenzioni rispetto alla Costituzione del 1948, solo perché opera di una generazione ormai trascorsa.

La Costituzione americana è in vigore da duecento anni, e in questi due secoli nessuna generazione l’ha rifiutata o ha proposto di riscriverla integralmente, ha soltanto operato singoli emendamenti puntuali al testo originario dei Padri di Philadelphia, nonostante che nel frattempo la società americana sia passata da uno Stato di pionieri a uno Stato oggi leader del mondo.

Non lasciatevi influenzare da seduttori fin troppo palesemente interessati, non a cambiare la Costituzione, ma a rifiutare ogni regola. E non lasciatevi neppure turbare da un certo rumore confuso di fondo, che accompagna l’attuale dialogo nazionale.

Perché se mai, è proprio nei momenti di confusione o di transizione indistinta che le Costituzioni adempiono la più vera loro funzione: cioè quella di essere per tutti punto di rifermento e di chiarimento.

(cfr. Costituzione e riforme, in I valori della Costituzione, p. 118)

 

L’azione riformatrice bloccata: l’addio alla politica

Dopo la feconda ed esaltante vicenda della elaborazione della Costituzione, Dossetti si impegna a livello politico e parlamentare ancora per tre anni. Vicesegretario della DC, che nel frattempo, con le elezioni del’48, è diventata il partito guida del Paese, lavora per una grande azione riformatrice delle strutture istituzionali ed economiche e nella formazione di una nuova classe dirigente.

Ma il suo progetto riformatore si scontra con troppe resistenze.

Ne prende atto e decide, nel 1951, di lasciare la politica. Ha solo 38 anni.

La sua decisione getta nello sconcerto tantissimi giovani di allora che guardavano a lui come a un punto di riferimento. Era, con De Gasperi, la personalità più rilevante del cattolicesimo politico italiano.

Dossetti lascia la politica. Anche se la politica non lo lascerà mai.

 

Dossetti con Achille Ardigò a Rossena dove annunciò il suo ritiro dalla politica.

 

Ripartire dalle fondamenta: la riforma della Chiesa

Mentre matura in lui la vocazione al sacerdozio decide di dedicarsi all’opera dirinnovamento della Chiesa. Riforma della Chiesa eriforma della società erano per Dossetti intimamente legate.

L’arretratezza culturale dei cattolici italiani, l’assenza di cultura biblica tra il clero e tra il popolo di Dio, l’angustia della riflessione teologica italiana richiedevano un’opera riformatrice e profonda, destinata a durare a lungo, e che era il presupposto per quella formazione spirituale e culturale che avrebbe reso possibile per i cattolici un loro ruolo anche sul piano della riforma sociale e politica.

C’erano da ripensare le fondamenta, questo aveva imparato. Questo diventava il suo nuovo progetto di vita.

Dossetti fonda a Bologna il Centro di documentazione per la formazione spirituale e la ricerca storico-teologica, con il compito di dare respiro internazionale alla ricerca scientifica italiana nel campo delle scienze religiose.

Dà quindi vita alla Piccola Famiglia dell’Annunziata che diventerà una comunità monastica, con un ramo maschile e uno femminile.

Preghiera, frequentazione e studio della Bibbia e dei Padri della Chiesa, povertà, comunione con il Vescovo sono i caratteri essenziali della comunità.

 

Parentesi: il rivoluzionario “Libro bianco su Bologna”

C’è però ancora una imprevista e breve parentesi politica.

Nel 1956 l’arcivescovo di Bologna, Giacomo Lercaro, gli chiede di candidarsi come sindaco della città nelle liste della Democrazia Cristiana in contrapposizione al popolare candidato comunista Giuseppe Dozza.

Dossetti non vuole, ma si sente obbligato ad accettare. Un atto di obbedienza che gli pesa enormemente.

Tuttavia trasforma quel faticoso obbligo in una occasione per dare vita a un programma elettorale rivoluzionario per la città di Bologna, al quale chiama a lavorare un gruppo di giovani talenti, da Achille Ardigò a Berniamino Andreatta a Luigi Pedrazzi.

Quel programma diventa il famoso “Libro bianco su Bologna”.

Dossetti perde le elezioni, ma l’amministrazione comunista Dozza farà sue alcune delle migliori intuizioni del Libro bianco. Dossetti siede sui banchi dell’opposizione in consiglio comunale per due anni impegnandosi a fondo. Il cristiano si impegna in politica, è la sua idea dominante, per cambiare in meglio le cose, sempre, non per occupare potere, che sia in un consiglio comunale o in parlamento, dando tutto se stesso per il bene della comunità, affrontando i problemi con la massima serietà e competenza.

Ma quella parentesi politica si chiude, e nel ’58 lascia il consiglio comunale e con esso la politica, definitivamente. La scelta religiosa preme.

 

Accanto a Lercaro al Concilio Vaticano II

Dossetti si fa sacerdote nel 1959.

E quando arriva il Concilio Vaticano II, indetto da Papa Giovanni XXIII, il cardinale di Bologna Lercaro lo vuole come esperto accanto a sé.

Lercaro sarà protagonista nell’assemblea conciliare di alcuni vigorosi interventi sui temi della povertà, della riforma liturgica, dei rapporti con gli ebrei, della pace.

Il Concilio diventa l’enorme fatto provvidenziale per quella riforma della Chiesa tanto voluta e sognata da Dossetti.

Dopo essere stato provicario dell’Arcidiocesi di Bologna nel 1967 ed essersi impegnato per l’attuazione delle riforme conciliari a fianco del cardinale Lercaro, Dossetti decide nel 1968 di dedicarsi completamente alla sua comunità monastica.

Il cardinale Lercaro, infatti, è stato costretto dall’alto alle dimissioni in seguito ad alcuni suoi interventi pubblici contro i bombardamenti americani in Vietnam.

1959, Dossetti sacerdote con il cardinale Giacomo Lercaro (a sinistra).

 

Il ritorno in difesa della Costituzione

Con gli amici dell’associazione Rosa Bianca incontrammo don Giuseppe Dossetti a Bologna due volte nell’arco di dodici mesi, l’ultimo giorno dell’anno 1985 e ancora l’ultimo giorno del 1986.

E festeggiammo con lui due capodanni memorabili.

Discutemmo a lungo con lui di fede e di politica, e per noi celebrò la S. Messa (il resoconto di quei due incontri è stato pubblicato sul mensile trentino Il Margine e poi raccolto nell’opuscoletto Dossetti e la Rosa Bianca).

Quel 1986, aperto e chiuso da questi due incontri, segnò anche il ritorno di Dossetti sulla scena pubblica. Tenne discorsi, pubblicò scritti, rilascio interviste.

Ma il suo vero ritorno fu il 1994. Dopo le elezioni politiche del marzo di quell’anno, Dossetti lancia la nascita di comitati per una difesa dei valori fondamentali della nostra Costituzione.

 

“Sentinella, quanto resta della notte?”

Questo appello drammatico, pressante, viene rilanciato da Dossetti il 18 maggio a Milano in occasione della commemorazione di Lazzati nell’ottavo anniversario della morte.

Pronuncia un drammatico e vigoroso discorso intitolato “Sentinella, quanto resta della notte”, da Isaia 21, 11-12, in cui denuncia i pericoli dell’involuzione della Repubblica.

Ero presente, e ricordo un Dossetti convalescente (la malattia lo avrebbe portato alla morte entro due anni), che si muoveva a fatica, che aveva esordito con tono basso, con voce quasi fioca, ma che andava sempre più prendendo forza, quasi speranza, man mano che proseguiva nel suo accorato appello.

Il padre della Repubblica stava tirando fuori tutte le sue ultime energie.

Riprendiamo alcuni passaggi di quel discorso, ancoroggi pienamente validi.

Dossetti, dunque, ricorda Lazzati. E ricorda il suo giudizio duro, lucido su ciò che stava maturando per il nostro Paese. Le cause profonde dello sbandamento, oltre gli scandali finanziari, oltre le collusioni tra mafia e potere politico, oltre la vicenda drammatica di Tangentopoli: soprattutto l’incapacità di pensare politicamente, la mancanza di grandi punti di riferimento, l’esaurimento di tutta una cultura politica e di un’etica conseguente.

Lazzati, diceva Dossetti, non avrebbe perso tempo a rimpiangere il passato, il giorno precedente, ma avrebbe detto con semplicità e forza che la notte è notte ma sempre con l’anima della sentinella che è tutta protesa verso l’aurora.

 

“La faccia di Dio” (Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia, 1995), è un libro di mons. Raffaele Nogaro, arcivescovo di Caserta, che ha una nota introduttiva di don Giuseppe Dossetti.

 

Le cause profonde della crisi

Dossetti individuava sintomi di decadenza sul piano demografico, dell’etica sessuale, della crisi della scuola, dalla ricerca spasmodica di ricchezza (“il laccio di una bramosia insensata e funesta”, diceva citando la prima epistola a Timoteo).

Questa è la notte, la notte delle persone. La comunità è sbriciolata nelle solitudini individuali.

Cause profonde, intrinseche alla Cristianità italiana, stanno alla base della notte:

– una proporzione troppo scarsa di battezzati consapevoli del loro battesimo rispetto alla maggioranza inconsapevole;

– l’insufficienza della comunità che dovrebbe formarli;

– la mancanza di spirito di disinteresse e di una cultura modernamente adeguata dei cattolici impegnati in politica;

– l’immaturità del rapporto laici-clero, il quale clero non tanto deve guidare dall’esterno il laicato ma proporsi piu decisamente il compito della formazione delle coscienze, la formazione a un cristianesimo profondo e autentico e quindi ad un’alta eticità privata e pubblica.

 

Colpe collettive dei cattolici

Dobbiamo anzitutto convincerci che tutti noi, cattolici italiani, abbiamo gravemente mancato, specialmente negli ultimi due decenni, e che ci sono grandi colpe (non solo errori o mere insufficienze), grandi e veri e propri peccati collettivi che non abbiamo sino ad oggi incominciato ad ammettere e a deplorare nella misurandovuta.

C’è un peccato, una colpevolezza collettiva: non di singoli, sia pure rappresentativi e numerosi, ma ditutta la nostra cristianità, cioè sia di coloro che erano attivi in politica sia dei non attivi, per risultanza di partecipazione a certi vantaggi e comunque per consenso e solidarietà passiva.

(cfr. Sentinella, quanto resta della notte?, in La Parola e il silenzio, p. 307)

Ma non basta.

 

Il peso politico? No, conta di più il peso di coscienze formate

 Dossetti, ricordando sempre la lezione di Lazzati, invita i battezzati consapevoli a percorrere un cammino inverso rispetto a quello degli ultimi vent’anni. Devono cioè

mirare non a una presenza dei cristiani nelle realtà temporali e alla loro consistenza numerica e alloro peso politico, ma a una ricostruzione delle coscienze e del loro peso interiore, che potrà poi, per intima coerenza e adeguato sviluppo creativo, esprimersi con un peso culturale e finalmente sociale e politico.

(cfr. Sentinella, quanto resta della notte?, in La parola e il silenzio, p. 307).

In tanto baccanale dell’esteriore bisogna dichiarare il primato dell’uomo interiore, dell’interiorità. Come? Dobbiamo innanzitutto formare l’uomo alle virtù cardinali: temperanza, fortezza, prudenza, giustizia.

Dobbiamo riconoscere che noi cristiani le abbiamo di fatto trascurate.

 

 

 

Importanza dei libri sapienziali

Dossetti ricorda in un altro scritto l’importanza anche su questo piano (sul piano della formazione degli “abiti virtuosi”, presupposto di ogni azione politica cristianamente ispirata), della Parola di Dio, soprattutto dei libri sapienziali, quelli che hanno proprio come scopo l’educazione alla vita pratica e che troppo spesso sono ignorati dal credente.

Abbiamo ricordato all’inizio l’importanza per Dossetti dei libri sapienziali nella formazione del politico.

I libri sapienziali sono cinque libri dell’Antico Testamento: Giobbe, Proverbi, Qoelet (o Ecclesiaste), Siracide (o Ecclesiastico) e Sapienza.

A questi cinque libri vengono aggiunti, ma impropriamente, anche il libro dei Salmi e il Cantico dei Cantici.

L’attività politica per Dossetti non è un’attività di specialisti, è innanzitutto un’attività sapienziale, un’attività che richiede una comprensione e una intuizione profonde della realtà.

 

Cosa è la sapienza

La sapienza non è solo conoscenza e competenza. È anche questo. La sapienza è innanzitutto un atteggiamento interiore, spiritualmente, umanamente, caratterialmente, intellettualmente, tecnicamente, creativamente formato.

È con la sapienza che il politico può capire quello che deve fare in quel momento. Essa si costruisce, quindi, con la conoscenza teorica delle dottrine politiche o della storia o del diritto o della sociologia; con l’esperienza pratica; con l’educazione alle virtù (temperanza, fortezza, prudenza, giustizia); con una spiritualità salda ecostantemente alimentata dalla preghiera, dall’Eucarestia, dalla Parola di Dio.

La fonte biblica dei libri sapienziali può contribuire molto, diceva Dossetti, alla formazione  di queste virtù che diventano poi dei veri e propri abiti, diventano uno stile, delle strutture costanti della personalità attraverso le quali essa si accosta al mondo, lo guarda, lo interpreta e infine vi agisce.

La carenza di queste doti sapienziali, più che le deficienze culturali o tecniche, sta per Dossetti alla base di tanti fallimenti morali dei cattolici impegnati in politica (cfr. Introduzione a Le querce di Montesole, pp. XLI-XLll, ora anche in La parola e il silenzio, pp. 93-94).

 

Formare le coscienze

L’uomo interiore è quindi l’uomo formato, dove tutto si lega e si tiene. Non l’uomo frammentato, spaccato in se stesso, che vive i vari momenti della vita come fossero parti separate, che fa il virtuoso in chiesa e lo spregiudicato in politica, che veste abiti diversi a seconda delle circostanze.

Senza questa profonda unità interiore, che non è mai data, che non è scritta in qualche fortunato patrimonio genetico, ma che è una conquista quotidiana, una costruzione quotidiana, non c’è impegno cristiano in politica che possa reggere ai rischi di degenerazione insiti nella politica stessa. Ecco allora Dossetti insistere:

Dobbiamo ora porci come obiettivo urgente e categorico di formare le coscienze dei cristiani per edificare in loro un uomo interiore compiuto anche quanto all’etica pubblica.

Dossetti nell’introduzione a un volume di scritti di Giorgio La Pira, Il fondamento e il progetto di ogni speranza, (p. XIX), rileva su questo punto le inadempienze della Chiesa, cioè

avere fornito troppo poco alla gioventù guide sacerdotali sapienti, intense e assidue a questo compito primario, della formazione a quel cristianesimo interiore e a quella educazione alla preghiera e alla vita di grazia, che è il primo presupposto per potere anche svolgere una vera politica cristiana.

Un uomo interiore che deve fare i conti con la propria fragilità, che quindi non può non avere un atteggiamento di umiltà. Umiltà che è insieme individuale e collettiva soprattutto per noi cristiani, facilmente preda difalse sicurezze se non di arroganza.

 

È possibile un progetto politico cristiano?

Ma ciò detto, è possibile un progetto storico cristiano? si chiede Dossetti (Per la vita della città, in La Parola e il silenzio, p. 155-156).

La comunità dei credenti, dice Dossetti, deve attenersi sempre di più al puro dato biblico, e non si potrà mai identificare con nessuna forma di organizzazione sociale. Anzi, spesso l’organizzazione sociale assume le forme della concentrazione spaventosa del potere, della sua soffocante estensione.

Un potere che spesso rende schiavi i cittadini che dovrebbe servire, che produce emarginazione, che si difende con la guerra, l’oppressione, la manipolazione delle coscienze.

Potremmo dire allora che c’è al profondo una notte della storia, meglio, un conflitto irriducibile tra la comunità eletta e le potenze mondane ben simboleggiato dalla presentazione apocalittica dell’impero romano come potenza diabolica, simboleggiata dalla bestia cui

fu dato di fare guerra ai santi e di vincerli e le fu dato il potere su ogni tribù e popolo e lingua e nazione

(Ap 13,7).

 

 

Gerico, Terra Santa, 1979. Dossetti con un gruppo di fratelli e sorelle della sua comunità, la Piccola Famiglia dell’Annunziata.

 

 

Non sorprendiamoci del male

Questo irriducibile conflitto tra la comunità dei credenti e le potenze di questo mondo che percorre tutto l’ultimo libro del Nuovo Testamento, cioè l’Apocalisse, spesso lo dimentichiamo e finiamo quasi per sorprenderci di come guerre, persecuzioni, ingiustizie, oppressioni continuino a dominare la vita del mondo (ho partecipato recentemente alla grande iniziativa di pace di tre movimenti cattolici italiani nella Repubblica democratica del Congo, tormentato dalla guerra e dalla miseria e conservo nel mio cuore, come un costante tormento, le immagini di quel pezzo di mondo e di popolo abbandonato alla violenza e al sopruso dalla comunità internazionale, attenta invece ai diamanti e agli altri minerali preziosi che da quella bella e infelice terra si estraggono in abbondanza).

Ma questo irriducibile conflitto non può giustificare nessuna passività, nessuna rassegnazione, nessuna accettazione del presente come un qualche cosa di immodificabile.

Anzi, la benedizione divina scende su coloro che accettano anche la persecuzione pur di battersi per la pace, per la giustizia, per l’orfano, la vedova, il forestiero, il povero.

 

Tre condizioni per un progetto politico

Questo irriducibile conflitto tra il Cristo crocifisso e risorto, che è il pilastro che regge la comunità dei credenti, non impedisce, quindi, che singoli cristiani o gruppi che essi possano, anzi debbano, impegnarsi nella storia in base a un certo progetto di società.

Ma ci vogliono tre condizioni ben precise perché questo progetto possa reggere all’impatto con la realtà e non sia incontrasto con 1’ispirazione cristiana finendo magari col tradirla:

che sia distinto dalla comunità di fede;

che abbia una genialità creativa e una validità storica;

che nasca da senso di giustizia disinteressata e privilegi i poveri, gli umili, i piccoli.

Se no i cristiani si astengano dal pretendere di dire e fare qualcosa di significativo in campo sociale e politico.

 

Lasciare anche la valigetta

Su questo atteggiamento di disinteresse, fatto di amore e di distacco insieme, Dossetti ritorna più volte:

Si deve inculcare al cristiano che non solo può ma deve impegnarsi nella storia (secondo la misura dei doni ricevuti e le opportunità pratiche): ma insieme si deve inculcare che questo egli deve sempre fare col massimo distacco possibile: pena la perdita di tutta la sua credibilità come esploratore e testimone dell’invisibile.

Deve sempre essere pronto a lasciare il suo ruolo – tanto più quanto più possa essere umanamente appetibile – come un viaggiatore deve lasciare la camera d’albergo in cui ha pernottato una notte, disposto persino a lasciarvi la valigetta con cui vi era entrato

(cfr. Per la vita della città, in La parola e il silenzio, p. 182).

Suona terribilmente ironica questa frase che in qualche modo ci porta a ricordare che spesso i cristiani non solo non hanno lasciato la valigetta nella stanza dell’albergo della politica, ma si sono presi l’argenteria, le lenzuola, le coperte, gli asciugamani, se ci riuscivano il frigo.

 

Una dura lezione della storia

È solo un atteggiamento insieme di amore e distacco, di dedizione competente e appassionata, e insieme di provvisorietà, di episodicità che salva per Dossetti l’azione politica dalla degenerazione.

Dossetti non ha teorizzato nulla a questo proposito, semplicemente si è limitato a prendere atto di una dura lezione della storia per i credenti, della storia del potere in Italia nel dopoguerra.

Queste cose Dossetti le ha dette e scritte dopo, nel 1986, guardando indietro a cosa era accaduto negli anni precedenti, e le rimarcherà ancora nei primi anni Novanta alla luce di quelli che definiva “gli esiti catastrofici dell’azione politica dei cattolici” naufragata in Tangentopoli.

Bisogna impegnarsi, dunque, ma l’impegno politico non deve essere né un mestiere né una vocazione, ma la risposta a un particolare momento della storia:

Può accadere che a volte siamo chiamati a fare politica, in una circostanza, in un determinato momento, per un certo breve periodo, episodicamente.

 

Valore del tempo breve e intenso

Al fondo di questo atteggiamento c’era la consapevolezza, anche questa mai teorizzata da Dossetti – che non è mai stato un teorico della politica, ma un uomo d’azione – che la politica, insieme disinteressata, creativa, trasformatrice coraggiosa della realtà, poteva essere realizzata solo in un impegno intensissimo e breve.

Perché il permanere a lungo portava al vegetare, al sopravvivere a se stessi anche quando non si ha più nulla da dire, né si ha la voglia di fare.

Il tempo breve impedisce al male di catturarti nella sua rete diabolica, e tu puoi investire tutto te stesso, le tue speranze, i tuoi progetti, il tuo coraggio, i tuoi rischi senza calcolare troppo sul tuo futuro.

Il pensiero del futuro, cioè della carriera politica uccide lo spirito, spegne l’azione, trasforma i sani propositi iniziali in mortali calcoli di convenienza.

 

Monte Sole (Bologna), luglio 1994, Don Giuseppe Dossetti incontra gli obiettori della Caritas dell’Emilia Romagna (foto Luciano Bonuccelli).

 

 

Testimoni di un’altra realtà, contro le astuzie dei cosiddetti realisti

Concludendo, torniamo all’inizio, a quando ricordavamo con Dossetti che anche in politica il cristiano è un testimone della Parola. È un testimone dell’invisibile.

È un testimone del Cristo crocifisso e risorto, della folle speranza annunciata dal cristianesimo di fronte a tutta la saggezza e la potenza di questo mondo.

Di fronte a tutti i successi dei malvagi e dei prepotenti, di fronte a tutte le astuzie diaboliche dei cosiddetti realisti, il cristiano è testimone di un`altra e più profonda e più vera realtà.

È testimone di una beatitudine divina che in ogni tempo accompagna i perseguitati a causa della giustizia,i deboli, i piccoli, i sofferenti, coloro che patiscono per la verità, coloro che cercano la pace, coloro che rinunciano alle ricchezze.

Questa scandalosa beatitudine che innalza gli umili e abbatte i potenti non ha nulla a che vedere col successo politico come lo intende il mondo.

Come dice il Salmo 1:

Beato l’uomo che entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte.

 

 

TESTI CITATI

GIUSEPPE DOSSETTI, Introduzione a LUCIANO GHERARDI, Le querce di Monte Sole. Vita e morte delle comunità martiri fra Setta e Reno. 1898-1945, Il Mulino 1986.

GIUSEPPE DOSSETTI, Prefazione a GIORGIO LA PIRA, Il fondamento e il progetto di ogni speranza, a cura di C. Alpigiano Lamioni e P. Andreoli, AVE, Roma 1992.

GIUSEPPE DOSSETTI, I valori della Costituzione, prefazione di Franco Monaco, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 1995.

GIUSEPPE DOSSETTI, La Parola e il silenzio. Discorsi e scritti 1986-1995, a cura della Piccola Famiglia dell’Annunziata, Il Mulino, Bologna 1997.

 

IMMAGINI

Tutte le immagini, tranne quella di Dossetti con l’associazione Rosa Bianca, sono tratte dal volume Giuseppe Dossetti. Immagini di un cammino, a cura della Piccola Famiglia dell’Annunziata, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 2013.