“C’è la giovinezza, l’amicizia, l’amore; c’è la fede e c’è la politica; c’è la guerra; c’è la verità, e c’è il coraggio di dirla al mondo; ci sono pensieri grandi, parole grandi, e grandi azioni; c’è la preghiera e c’è la lotta; c’è la battaglia e c’è la nonviolenza; c’è il duello, impari, con il drago; c’è la sconfitta, inevitabile; c’è la morte.”
L’ANGELO DELLA LIBERTÀ
di Vincenzo Passerini
Intervento alla presentazione del libro di Paolo Ghezzi, “La Rosa Bianca non vi darà pace. Abbecedario della giovane Resistenza”, (Il Margine, 2014) – Scuola estiva della Rosa Bianca, Terzolas (Trento), 31 agosto 2014.
La storia della Rosa Bianca tedesca continua a ispirare nuovi libri, ma anche film e spettacoli teatrali. In Germania, in primo luogo, ma anche, e non poco, in Italia. Una piccola storia era, quando accadde.
Un gruppetto di cinque giovani poco più che ventenni – Hans Scholl, il leader, sua sorella Sophie, e poi Alex Schmorell, Willi Graf e Christoph Probst -, cui si aggiunse il più anziano professore Kurt Huber, diede vita a Monaco di Baviera, tra il giugno del 1942 e il febbraio del 1943, sotto il nome di Rosa Bianca, a clandestine e rischiosissime azioni di volantinaggio dove denunciavano con lucidità, profondità e veemenza il regime hitleriano e incitavano alla ribellione e al sabotaggio il popolo tedesco.
I sei erano, casualmente, di diversa confessione cristiana: protestante, cattolica e c’era anche l’ortodosso di origine russa, Schmorell.
Furono catturati, processati e giustiziati.
Un episodio di ingenuo ribellismo giovanile, destinato in partenza a non incidere in nulla sull’andamento delle cose. La grande storia si muoveva su altri binari.
Una piccola pietra, ma una testata d’angolo
Ma la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo. A quella piccola pietra (e alle altre piccole pietre della Resistenza tedesca) si sono aggrappati milioni di tedeschi nel dopoguerra per risalire dal baratro, per risorgere, per poter dire a se stessi: ecco, se dal cuore della Germania è potuto nascere nell’ora più orrenda un gruppetto di giovani con quei pensieri, con quella limpidezza d’animo, con quel coraggio, beh, allora non siamo perduti come popolo, come tedeschi.
Non si sono aggrappati i milioni di tedeschi ai saggi, ai prudenti, agli strateghi, ai calcolatori, ai realisti. A tutti quelli che attendevano nel silenzio i cosiddetti tempi maturi, che non volevano bruciarsi nel drammatico presente. No, questi non potevano dire nulla a un popolo schiacciato dalla colpa.
La speranza nel riscatto morale – non quello economico o politico, ma quello fondativo, e rifondativo, di un popolo – l’hanno dovuta cercare nelle piccole storie di ribellione, come quella della Rosa Bianca.
Nei pensieri, nelle parole, nei gesti dei piccoli e inevitabili perdenti (e così è stato anche per noi italiani: la Resistenza sarà stata anche un mito, ma poteva un popolo risorgere senza la trasformazione in mito fondativo, rifondativo, di tante piccole storie di ribelli perdenti? A cosa altro poteva aggrapparsi un popolo schiacciato e disonorato dalla propria pochezza morale?). La piccola storia della Rosa Bianca ha tratti talmente rari e affascinanti, senz’altro unici, da inscriversi nel genere dei capolavori dello spirito umano.
Un fiore nel deserto
C’è la giovinezza, l’amicizia, l’amore; c’è la fede e c’è la politica; c’è la guerra; c’è la verità, e c’è il coraggio di dirla al mondo; ci sono pensieri grandi, parole grandi, e grandi azioni; c’è la preghiera e c’è la lotta; c’è la battaglia e c’è la nonviolenza; c’è il duello, impari, con il drago; c’è la sconfitta, inevitabile; c’è la morte.
È il miracolo di un fiore nel deserto, che sboccia là dove sembra impossibile, diffonde il suo colore, il suo profumo, il suo grido di amore per la verità e la vita, ed è subito bruciato.
Per questo, come ogni capolavoro dello spirito umano, questa storia è inesauribile nell’ispirare nuove narrazioni, nuove ricerche e interpretazioni.
Uno può passare una vita a studiare un capolavoro di Michelangelo o di Bach. Paolo Ghezzi da vent’anni dedica molte delle sue migliori energie di scrittore e di persona impegnata civilmente a scavare nella piccola grande storia della Rosa Bianca, a raccontarla, a tenerla viva, anche con libri originali.
Il suo quarto libro sulla Rosa Bianca
Questo è il suo quarto libro sull’argomento. Ha cominciato nel 1993 con La Rosa Bianca, pubblicato dalle Paoline, dove la storia del gruppo era per la prima volta raccontata in maniera completa e aggiornata ai lettori
italiani.
Poi, nel 1997, ha pubblicato presso la Morcelliana di Brescia, Noi non taceremo. Le parole della Rosa Bianca, un libro del tutto particolare, dove passi significativi tratti dagli scritti dei giovani tedeschi venivano commentati e attualizzati da alcune importanti personalità italiane: dal card. Martini al poeta Mario Luzi, dal magistrato Antonino Caponnetto, che guidò il pool antimafia di Falcone e Borsellino, allo storico Paolo Prodi, dal biblista e monaco Enzo Bianchi allo scrittore Mario Rigoni Stern.
Nel 2003, sempre presso la Morcelliana, Ghezzi pubblica Sophie Scholl e la Rosa Bianca, un appassionato ritratto della giovane donna del gruppo.
Infine, eccoci a questo libro, uscito pochi mesi fa, La Rosa Bianca non vi darà pace. Abbecedario della giovane resistenza, edito dal Margine, che ha anche una intensa prefazione dello scrittore Eraldo Affinati e una bella copertina di Giacomo Bonazza.
Una scuola per la Rosa Bianca e una per Sophie
Non solo. Con una innumerevole serie di incontri di presentazione dei libri e di conferenze, Paolo Ghezzi si è impegnato moltissimo in questi anni sul fronte delle scuole, in varie regioni italiane, per far conoscere al maggior numero possibile di giovani questa storia, fino ad attivarsi perché nel 2005 l’Istituto di istruzione di Cavalese fosse intitolato alla Rosa Bianca e perché il nuovo Liceo linguistico di Trento, inaugurato proprio il 16 maggio scorso, fosse intitolato a Sophie Scholl. Il libro che oggi presentiamo è stato distribuito agli studenti in quest’ultima occasione.
Paolo Ghezzi ha sempre voluto che la piccola pietra della Rosa Bianca diventasse una testata d’angolo anche per la formazione delle nuove generazioni.
Sono storie lontane e bisogna anche trovare formule nuove e giusti registri per renderle vive. Per questo l’autore, che, com’è noto, sa anche scrivere molto bene, in questo suo ultimo libro ha voluto scomporre la storia, ma anche le proprie riflessioni, in un singolare Abbecedario della giovane resistenza, composto da voci spesso sorprendenti, che destano di colpo curiosità e interesse.
Il libro si apre con una triplice dedica: a Franz Josef Müller, della Fondazione Rosa Bianca di Monaco, a Annalise Graf, sorella di Willi, scomparsa cinque anni fa, e al sottoscritto, per aver contagiato l’autore, vent’anni fa, col profumo e le spine della Rosa Bianca. Lo ringrazio.
Paolo e Vittorio Emanuele Giuntella
Io però devo anche ricordare, se mai ce ne fosse bisogno, che, essendo più vecchio di Ghezzi, fui a mia volta contagiato, assieme ad altri amici, alla fine degli anni Settanta, da Paolo Giuntella, giornalista della Rai, scrittore, tra i più importanti animatori del cattolicesimo democratico, che ci fece conoscere questa storia e che volle che il nuovo gruppo di animazione culturale e politica che si apprestava a fondare – e che poi è diventato l’associazione che organizza questi incontri estivi – si chiamasse proprio Rosa Bianca.
Giuntella, che ci ha purtroppo lasciato prematuramente nel 2008, ha in più di una occasione raccontato che fu suo padre, lo storico Vittorio Emanuele Giuntella, che aveva anche vissuto come internato militare l’esperienza dei lager nazisti (sui quali, come storico, scriverà anche un importante libro, Il nazismo e i lager, edito da Studium nel 1979), a fargli conoscere la storia della Rosa Bianca e a portare in casa, poi, una sera del 1959, un piccolo libricino scritto da Inge Scholl, sorella di Hans e Sophie, su questa storia, che è poi il primo dei libri usciti nel nostro Paese (I. Scholl, La Rosa Bianca, presentazione di Theodor Heuss, prefazione di Ferruccio Parri, Edizioni De Silva-La Nuova Italia, Firenze, 1959, pp. 97).
Paolo Giuntella non ci ha lasciato soltanto una storia, un nome, una associazione, ma anche tanta passione civile, tanta generosa e creativa testimonianza cristiana, tanta voglia di resistenza nelle situazioni che sempre a ciascuno pone davanti la vita quotidiana.
Ci ha lasciato anche alcuni appassionati libri, tra cui mi piace ricordare in questo contesto, Il fiore rosso. I testimoni, futuro del cristianesimo, Paoline, 2006). Lo ricordiamo con affetto e gratitudine.
Schmorell beatificato
Questo Abbecedario della giovane resistenza, quarto libro sulla Rosa Bianca di Paolo Ghezzi, è un libro nuovo, e se è stato pensato per i giovani non è però una minestra diluita, riscaldata e insaporita a scopo pedagogico-didattico.
È un libro nuovo, perché l’autore, nelle 155 voci nelle quali distribuisce la materia, fa tesoro, di tutta la ricca letteratura tedesca sull’argomento che è continuata a uscire in questi anni: ricerche, ricordi, lettere, testimonianze. La sua ventennale frequentazione, poi, dei familiari superstiti, degli amici, dei conoscenti del gruppo della Rosa Bianca, e della fondazione di Monaco, gli ha consentito di acquisire una conoscenza dell’argomento che in Italia non ha eguali.
Ai giovani, ma a tutti noi, anche a quelli che questa storia la conoscono, o pensano di conoscerla, Paolo ha voluto offrire un piatto forte, nuovo, ricchissimo e aggiornato, perché questa è una storia a cui continuamente si aggiungono nuove pagine (basti pensare alla beatificazione, da parte della chiesa ortodossa tedesca, di Alex Schmorell, avvenuta nel 2012).
Ci offre anche, questo libro, uno spaccato di storia e di vita tedesca dell’epoca di enorme interesse, ma pochissimo conosciuto, almeno nel nostro Paese. Un libro scritto con rigore e con amore.
Come si diventa antinazisti?
C’è una domanda sottostante alle varie voci, non esplicitata ma che fa da invisibile filo conduttore, un filo che tutto lega: come si diventa antinazisti?
Nel 1968 è stato pubblicato in Italia un libro di uno studioso americano, William Sheridan Allen, intitolato Come si diventa nazisti (Einaudi 1968, 2.ed. 1994).
Per cercare di rispondere a questa che è una delle più grandi e terribili domande del Novecento, lo studioso aveva analizzato minuziosamente gli avvenimenti che via via si erano succeduti nella vita di una piccola città tedesca negli ultimi anni della Repubblica di Weimar e nei primi del terzo Reich cercando di capire, partendo da una situazione tipo, come, in poco tempo, una società così evoluta come quella germanica si fosse consegnata al nazismo.
Ciò che più lo colpì fu la sequenza di piccoli passi verso l’abisso.
Piccoli passi verso la salvezza
La storia della Rosa Bianca si muove nel senso opposto: è una sequenza di piccoli passi verso la salvezza.
Un gruppetto di ventenni, cresciuti sotto il nazismo, alcuni di loro anche dallo stesso affascinati, piano piano se ne libera, fino ad opporvisi temerariamente, facendo il processo inverso rispetto a quello fatto dalla società tedesca, dal mondo che avevano intorno.
Paolo va a caccia di tutti questi piccoli passi che nascono da influssi familiari, da incontri con persone speciali, ma anche con libri speciali, nascono dal confronto appassionato di questi ventenni tra di loro e con gli avvenimenti della storia, specialmente con la brutalità della guerra. Nascono dalla meditazione della parola di Dio.
Resta inafferrabile però il momento in cui la grande decisione, quella che li ha definitivamente cambiati, come singoli e come gruppo, è stata presa. È l’inafferrabile mistero della grandezza della persona umana, che non è solo il risultato di cause, ma è possibilità di libertà.
Altri, e forse più di loro, avevano avuto influssi familiari, incontri con persone e libri speciali, avevano meditato la parola di Dio (magari giorno e notte) e si erano scontrati con la brutalità della guerra. Ma non fecero la scelta, non presero la grande decisione. Perché loro sì?
Il capolavoro sta anche qui, in questo inafferrabile mistero che sta poi al cuore stesso dell’esistenza umana, del dramma dell’esistenza umana.
La domanda, come si diventa antinazisti, porta con sé altre due domande collegate e che pure, per quanto inespresse, fanno da sfondo a questo appassionato Abbecedario della giovane resistenza: la cultura salva? la religione salva?
La cultura salva?
La cultura salva? No, la cultura di per sé non salva. Umanistica o scientifica che sia, laica o cattolica che sia.
La Germania era il paese forse più colto, più avanzato in quasi tutti i campi del sapere (dall’archeologia alla chimica, dalla filosofia all’ingegneria, dalla letteratura alla musica), ma non si è salvata dal partorire il mostro, né ha salvato i geni del sapere e della creatività, tranne poche eccezioni, dal convivere passivamente col mostro, se non dall’esserne complici o addirittura entusiasti sostenitori.
Una certa cultura può aiutare però a salvarsi. I giovani della Rosa Bianca, come è ben documentato nel libro, hanno la fortuna di incontrare, casualmente, o per scambi tra di loro o grazie ad alcuni professori, libri e autori speciali: soprattutto i grandi cattolici francesi Bloy, Peguy, Bernanos, Claudel, Maritain (quest’ultimo, grandissimo maestro di cultura politica antitotalitaria e di opposizione – culturale, religiosa, militante – , rarissima in ambito intellettuale cattolico, all’antisemitismo imperante ovunque); e poi i grandi russi, Dostoevskij, Tolstoj, Puskin, Berdiaev. Da loro imparano moltissimo.
Ma quanti giovani e adulti tedeschi (ma anche italiani) negli stessi anni leggevano gli stessi libri, nelle università, nelle canoniche, nelle redazioni dei giornali, nelle case di intellettuali ed ecclesiastici illuminati, ma non fecero nulla?
Dominava il “nicodemismo”
Suggerisco, a questo proposito, la lettura dell’importante libro del nostro Fulvio De Giorgi, Mons. Montini. Chiesa cattolica e scontri di civiltà nella prima metà del Novecento, pubblicato dal Mulino due anni fa, da cui emerge, ancora una volta, che anche gli ambienti cattolici italiani più consapevoli della natura inaccettabile e a un certo punto anche disumana e aberrante del nazifascismo, e che leggevano gli stessi libri dei ragazzi della Rosa Bianca, limitarono la loro opposizione a mezze parole – mai pubbliche- , mezze critiche – sempre in privato – , mezze indignazioni, o anche grandi indignazioni, sempre consegnate ai diari privati e alle privatissime corrispondenze.
E il ricorso all’allusione – sottile, spesso molto sottile – era il mezzo preferito per dire, in sicurezza, qualcosa di anticonformista in pubblico, quando, molto raramente, lo si voleva dire.
Nei migliori dei casi, dunque, anche di grandi maestri di intere generazioni, dominava quello che viene chiamato “nicodemismo”, cioè il manifestare di nascosto, come il Nicodemo del Vangelo, una certa credenza, un certo pensiero, essendo pericoloso esprimerlo pubblicamente.
I grandi e buoni libri sono indispensabili, ma non bastano. Dobbiamo sempre invocare lo Spirito perché mandi a visitarci l’angelo della libertà, e perché sappiamo riconoscerlo e aprigli la porta quando bussa. E da lui lasciarci prendere per mano.
La fede religiosa salva?
Lo stesso possiamo dire per l’altra domanda: la fede religiosa salva? No, di per sé non salva (è chiaro che stiamo parlando della salvezza non in termini di giudizio finale, che appartiene solo a Dio).
La Germania era profondamente cristiana, protestante e cattolica. Non è servito a salvarla dall’abbracciare il mostro. E così è stato per l’Italia. La Germania, poi, era all’avanguardia in ambito teologico e biblico.
Ma la paura del mostro comunista con il suo ateismo di Stato e il suo totalitarismo ha reso ciechi – ma è la cecità di chi non vuol vedere – su quello nazista e fascista (l’anticomunismo, quando è stato ideologia assoluta, ha continuato a rendere ciechi a lungo, basti pensare all’Argentina dei desaparecidos e ai silenzi e alle complicità della Chiesa cattolica, tranne le solite poche eccezioni).
I giovani della Rosa Bianca, come ben documenta Paolo Ghezzi, erano certamente anticomunisti (per lo più auspicavano un moderato socialismo), ma questo non impedì loro di guardare in faccia il nazismo e di vederlo per quello che era, senza sconti.
E mentre da molti pulpiti si predicava l’obbedienza all’autorità costituita, sulla base anche di una certa lettura della Bibbia, allora dominante, sia in ambito protestante che cattolico, i giovani della Rosa Bianca scrivevano nei loro volantini: siccome siete cristiani, siccome la Bibbia dice questo e questo, dovete aprire gli occhi di fronte a questo regime pagano e disumano e ribellarvi; la vostra fede vi impedisce di restare passivi.
La fede, profonda, seppur, inevitabilmente a tratti tormentata e sempre in ricerca, così come la frequentazione della Bibbia e del pensiero di alcuni grandi filosofi e teologi, sono stati fondamentali nel percorso di formazione e di risalita dall’abisso dei giovani della Rosa Bianca.
Ma anche in questo caso, di per sé non salvano, e alla fine, ciò che ha fatto la differenza è stato il loro invocare, accogliere e lasciarsi accompagnare dall’angelo della libertà.
L’angelo della libertà e don Minzoni
Per farsi visitare dall’angelo della libertà non c’è una ricetta, se no non ci sarebbe libertà (Bernanos, maestro loro e nostro, ci ricorda che il vero scandalo dell’universo non è il dolore ma la libertà).
Ma, pur nell’inafferrabilità del mistero, di una cosa possiamo essere certi: l’angelo della libertà non visita a caso i suoi amici.
Possono perciò aiutarci a capire molte cose le parole che don Giovanni Minzoni, che sarà nel 1923 tra i primi e più limpidi martiri antifascisti italiani, scriveva diversi anni prima, il 17 aprile del 1909:
“Fatte le debite eccezioni, abbiamo avuto il compito di allevare dei giovani sottomessi, incapaci di fare del male, ma nel medesimo tempo inetti a fare del bene; abbiamo cercato in qualsiasi modo di spegnere e soffocare, con gravissimo danno, le loro giovanili passioni, anziché dirigere ed educare queste forze vergini a formare delle anime forti e attive, delle anime rotte alla vita, capaci di tutto, anche delle ribellioni, piuttosto che di venir meno alla loro coscienza” (Don Giovanni Minzoni, Memorie 1909-1919, Diabasis, 2011).
Hans Leipelt, il settimo componente della Rosa Bianca
Chiudendo, e ringraziando Paolo per questo suo davvero gran bel libro, da leggere, rileggere e far conoscere, vorrei proporgli, come ho già fatto in occasione della presentazione a Trento di questo “Abbecedario”, un altro libro, anche piccolo, sulla Rosa Bianca, semmai ci potesse stare tra i suoi tanti progetti.
Tra le voci di questo suo libro che più mi hanno colpito, e anche commosso, c’è quella dedicata ad Hans Leipelt, che è un po’ il settimo componente della Rosa Bianca.
Studente anche lui all’università di Monaco, non conobbe mai, però, il gruppo di Hans Scholl e dei suoi amici, però ne lesse il sesto e ultimo volantino e lo diffuse, correndo enormi rischi.
Ma la sua colpa più grave (verrà giustiziato nel gennaio del 1945) fu quella di aver avviato una raccolta di fondi per la vedova del professor Huber – il sesto e più anziano componente della Rosa Bianca- e i suoi bambini. Come Paolo scrive nel libro:
“Leipelt non ha avuto libri e intitolazioni anche perché, a differenza delle altre, la sua famiglia è stata annichilita nell’inferno del Terzo Reich: il padre, tedesco ariano, muore nel 1938. Sua madre ebrea si suicida dopo essere stata incarcerata in seguito all’arresto del figlio. E in cella si toglie la vita anche sua sorella” (pag. 133).
Paolo conclude:
“C’è una foto che lo ritrae mentre apre un libro in mezzo alle macerie del suo appartamento distrutto da un bombardamento: ha gli occhiali sul naso, il cielo illumina la scena. C’è tutta la forza tranquilla della resistenza ai tempi malvagi”.
Ecco, mi piacerebbe che un giorno Paolo potesse trovare il tempo per scrivere anche la storia di Hans Leipelt e della sua famiglia, visto che nessun familiare è sopravvissuto per poterlo fare.
I libri hanno anche questo di grande: che possiamo, attraverso di loro, seppure per un momento, seppure nella fragilità e labilità di un ricordo, ridare vita agli uccisi, agli innocenti.
È una fragile, fragilissima consolazione. Ma anche di questo viviamo.