“C’era chi picchiava per salvarsi”;
“I passeggeri si scavalcavano tra di loro, urlavano e si strappavano di mano la fune”;
“Tutti si pestavano l’un l’altro per salire sull’elicottero”;
«Assieme ad altri abbiamo cercato di fare ordine, ma gli uomini hanno cominciato a colpirci per poter entrare per primi» (dal reportage di Leonard Berberi sul «Corriere della sera» del 30 dicembre 2014).
«Vigeva la legge del più forte» (così un passeggero a Rai News 24 il 6 gennaio 2015).
Nell’inferno notturno, in mezzo alla tempesta, i soccorsi ai passeggeri della Norman Atlantic in fiamme hanno dovuto fare i conti con la disumana lotta per la sopravvivenza.
Erano i giorni tra Natale e Capodanno.
Quell’inferno, però, è stato illuminato anche da un lampo, commovente e tragico, di umanità. Un lampo colto da Gabriella de Matteis, giornalista di «Repubblica», pubblicato sul suo giornale il 31 dicembre, e poi scomparso dalle nostre cronache.
È la storia di padre Ilia Kartozia, monaco ortodosso georgiano di 27 anni, superiore del monastero di David Agmashenebeli, in viaggio per Bari, dove avrebbe voluto recarsi in pellegrinaggio alla basilica di San Nicola che custodisce gran parte delle reliquie del santo, molto venerato anche dagli ortodossi.
Con lui c’erano altri otto connazionali.
Ed è stato proprio uno di questi, Iracli, di 25 anni, sulla nave con moglie, figlioletto e i suoceri, a raccontare alla giornalista cosa ha fatto padre Ilia:
Lui mi incitava, mi rassicurava, diceva di stare tranquillo e soprattutto di pensare a Dio… Mi indicava la strada che avrei dovuto seguire… Poi siamo arrivati nel punto del traghetto dove avremmo dovuto prendere le scialuppe… Quando è arrivato il suo turno, padre Ilia ha visto una donna con una bambina, forse erano di nazionalità greca, e ha ceduto il suo posto, le ha detto di andare avanti.
Continua Iracli:
Lui aveva con sé uno zaino. Dentro c’erano delle icone, delle immagini dalle quali padre Ilia non si voleva assolutamente separare. Diceva che le avrebbe portate sempre con sé. Quando finalmente è arrivato il suo turno si è aggrappato ad una fune che però ha ceduto. Padre Ilia è finito in mare. Qualcuno ha buttato in acqua un giubbino di salvataggio, ma il mare era molto agitato, le onde alte e lui non è riuscito a prenderlo.
Ho conservato quel ritaglio di «Repubblica». La storia di padre Ilia era troppo bella.
È una di quelle storie che riconciliano con l’umanità quando questa precipita nella disperazione e nella ferocia.
Ma è poi scomparsa dalle nostre cronache (almeno a me così risulta).
Ho recuperato il seguito dai siti georgiani in inglese.
Il corpo di padre Ilia è stato recuperato il 30 dicembre vicino alle coste di Lecce, con lo zainetto e le icone.
La sua vicenda, grazie all’articolo di «Repubblica», ha avuto una vastissima eco in Georgia.
Il 18 gennaio la salma è stata trasportata a Tbilisi, la capitale, dove è stata esposta nella cattedrale della Santa Trinità e dove moltissime persone le hanno reso omaggio.
Padre Ilia è stato ricordato come testimone esemplare di fede e di umanità.
Nello stesso giorno la salma è stata trasportata nella cattedrale della storica città di Metskheta, nei pressi della quale c’è il monastero di padre Ilia, dove si è svolta una solenne cerimonia funebre alla presenza delle massime autorità dello Stato e della Chiesa. Presente anche la vecchia madre.
Padre Ilia è stato poi sepolto nel giardino del suo monastero.
Pubblicato su ladige.it il 5 febbraio 2015