È la splendente, maledetta domenica 19 aprile 2015.
Con un sole così, e nel paradiso di Merano, grazioso cestino di boccioli, arrivano come da un lontano inferno le notizie del più orrendo naufragio di migranti finora accaduto nel Mediterraneo.
Ma non è un inferno estraneo a questo paradiso.
Arrivandovi in treno da Sud, si incontrano molti migranti che quel regno dei morti hanno attraversato e vinto. A Bolzano, soprattutto. Ma anche qui, tra i boccioli.
Sono volti segnati da stanchezza, se non sfinimento; ma anche da esuberanza e spavalderia. Perdiana: c’è tutta una nuova vita davanti. L’inferno è alle spalle. Niente ci può fermare.
Siamo su una delle rotte della speranza verso il nord Europa. Adesso un collo di bottiglia tappato, ma che la disperazione e la voglia di futuro prima o poi riescono a bucare.
Mediterraneo e Alpi vivono la medesima storia, scritta dal flusso incontenibile della vita che non si arrende. Come tante altre volte in passato. Una volta i “barbari” scendevano da nord. Le parti ora si sono rovesciate, ma la storia è sempre quella.
A Merano sulla tomba di Lepsius
Sono arrivato a Merano per rendere omaggio alla tomba di Johannes Lepsius, uno dei grandi testimoni del genocidio degli armeni.
Sembra strano. In questa cuccia paradisiaca, un altro pezzo di inferno. Ma solo in apparenza lontano. E anche un altro capitolo della vita che non la dà vinta al regno dell’orrore.
Perché il pastore protestante Johannes Lepsius seppe gridare in faccia al mondo, soprattutto alla sua Germania, e sulla base di una accurata documentazione, i crimini che si stavano compiendo contro gli armeni da parte dei turchi, alleati dei tedeschi.
Subendo tali persecuzioni da dover fuggire dal suo paese, perché quell’atroce verità doveva essere taciuta.
Aiutò instancabilmente i rifugiati armeni, ma anche di altre confessioni religiose ed etnie, costruì orfanatrofi, realizzò industrie per dar lavoro ai sopravvissuti.
Ma creò anche luoghi di dialogo tra cristiani e islamici. Un gigante.
La sua storia è raccontata in “Voci nel deserto. Giusti e testimoni per gli armeni” di Pietro Kuciukian (Guerini e Associati, 2000).
E oggi, in questa splendente e maledetta domenica, sono qui al cimitero evangelico di Merano (aperto tutti i giorni dalle 8 alle 20), poco lontano dalla confluenza del Passirio nell’Adige, a rendere omaggio a questo coraggioso testimone del genocidio armeno di cui ricordiamo il 24 aprile il centenario dello sciagurato inizio.
Una vita per gli armeni
La sua tomba è proprio vicino all’ingresso, fra tanti alberi e tanto verde. Un cippo funerario armeno, con la tipica croce scolpita e la scritta in tedesco: Pastore dott. Johannes Lepsius. Al soccorritore e difensore del popolo armeno in grata memoria. La Chiesa apostolica armena, la Chiesa evangelica di Germania, la Federazione delle chiese evangeliche della DDR, la Fondazione cattolica-romana Pro Oriente. Questo cippo, come ricorda Kuciukian nel suo libro, fu posto nel 1986 dalla comunità armena italiana.
Sopra la terra è deposta invece la prima lapide, con la scritta: Johannes Lepsius dottore in teologia e filosofia nato il 15 dicembre 1858 morto il 3 febbraio 1926. Giov. cap 17 vers 3. Cosa recita il passo del Vangelo di Giovanni? “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo”. Di sicuro il pastore Lepsius è stato un testimone fedele di Gesù Cristo in questa vita.
Era nato a Potsdam. Il padre era un famoso orientalista ed egittologo, la madre proveniva da una colta famiglia berlinese.
Dopo gli studi, Johannes si trasferisce nel 1884 a Gerusalemme, quale pastore della comunità protestante tedesca. Qui conosce la comunità armena e anche la connazionale Margarethe, missionaria pietista, che diventerà sua moglie.
Due anni dopo torna in Germania, fa il parroco. Ma le stragi di armeni del 1894-1896 ad opera dei turchi, che anticipano quello che nel 1915 diventerà un vero e proprio genocidio, lo spingono a dedicarsi alla causa di quell’infelice popolo.
Si reca sui luoghi dei massacri, realizza opere di aiuto e soccorso rivolte non solo agli armeni, ma a tutti i perseguitati e rifugiati, raccoglie una importante documentazione sui massacri, tradotta poi in inglese, francese, russo. La Germania è alleata della Turchia e le denunce di Lepisus sono ignorate e banalizzate dal governo tedesco. Partecipa a iniziative diplomatiche e internazionali.
Il genocidio: più di un milione di morti
Poi la Guerra mondiale. E il genocidio. Il 24 aprile 1915 vengono arrestati 2.345 armeni, l’élite intellettuale, politica, economica della comunità. Sono deportati in vari lager dove quasi tutti nei giorni seguenti vengono assassinati. È solo l’inizio.
Seguiranno una lunga serie di deportazioni e stragi. Un campionario degli orrori più indescrivibili.
L’obiettivo è la pulizia etnica: sradicare la minoranza cristiana armena dal territorio dell’Impero turco, annientarla.
Ma ancora se ne discute: stragi che si susseguono sotto la spinta delle vicende belliche o vera e propria pianificazione dello sterminio? Simile a quella che si sarebbe poi verificata nella Germania nazista contro gli ebrei?
Di qui il dibattito ancora vivo (lo testimoniano le dure reazioni turche alle recenti dichiarazioni di papa Francesco) se si tratti o no di genocidio, oppure di stragi in tempo di guerra (ma si legga l’equilibrato e solido Il genocidio degli Armeni dello storico Marcello Flores, dal titolo esplicito, pubblicato dal Mulino nel 2007).
Anche sulle cifre si discute. Ma i morti furono più di un milione.
Il drammatico incontro con Enver Pascià
Lepsius si reca in quella tragica primavera del 1915 a Istambul e riesce ad incontrare addirittura il generale Enver Pascià, uno dei triumviri che hanno in mano l’Impero turco.
Il drammatico colloquio tra i due, dove il coraggioso e ingenuo pastore, che implora la fine delle deportazioni e delle stragi degli armeni, è fronteggiato e schiacciato da un elusivo e sarcastico generale, è diventato una pagina memorabile del romanzo storico I 40 giorni del Mussa Dagh dello scrittore austriaco di origini ebraiche Franz Werfel.
Dedicato alla tragedia armena e in particolare a un episodio di resistenza, il libro uscì in Germania nel 1933 alla vigilia della presa del potere da parte di Hitler ed ebbe un’enorme diffusione in tutto il mondo.
Lepsius, tornato in Germania, e ignorando la censura, pubblica a Potsdam nel 1916, tra enormi ostacoli, il Rapporto sulla condizione del popolo armeno in Turchia. Arriva immediatamente il decreto di sequestro, ma Lepisus è già riuscito a diffonderne ventimila copie.
Fugge in Olanda, dove resta fino alla fine della guerra.
Rientrato in patria continua a dare testimonianza delle immani sofferenze subite dagli armeni e a promuovere opere di aiuto ai sopravvissuti.
Muore a Merano nel 1926 “dove aveva cercato rifugio”, scrive Kuciukian senza specificare oltre.
Nel memoriale di Erevan
Con il connazionale Armin Wegner, con l’ambasciatore americano a Costantinopoli Henry Morgenthau, con gli scrittori Franz Werfel e Anatole France, con il console italiano Giacomo Gorrini, Lepsius è stato tra i principali testimoni della causa degli armeni di fronte a uno mondo spesso indifferente e ostile, come ricorda nel suo bel libro Pietro Kuciukian.
A proposito di quest’ultimo scrittore, autore di numerose opere sugli armeni, va ricordato che è medico, vive a Milano, dove collabora tra l’altro con Gabriele Nissim, il paladino dei “giusti”, ma è nato ad Arco di Trento, perché suo padre, esule armeno, trovò rifugio nella cittadina gardesana, gemella trentina di Merano (ambedue rinomati luoghi di cura), dove esercitò la professione di medico, diresse il Sanaclero e vi concluse i suoi giorni.
Un pugno di terra della tomba di Johannes Lepsius è stato riposto con una solenne cerimonia nel memoriale del genocidio a Erevan, capitale dell’Armenia, nel 1998.
Articolo pubblicato sul quotidiano “l’Adige” il 24 aprile 2015.