Judit, Reginette e le altre sorelle

Le 4 suore uccise (Foto di “Avvenire”)

Avevano nomi leggeri, come di danzatrici: Judit, Reginette, Anselm, Marguerite.

Erano suore di Madre Teresa di Calcutta e assistevano disabili e anziani in una casa di cura ad Aden, in Yemen, il Paese più povero del Vicino Oriente.

Il 4 marzo scorso un gruppo terroristico, probabilmente jihadista, irrompe nella casa di cura e le massacra, insieme ad altre dodici persone, dipendenti e collaboratori.

 

Sally, la superiora, si salva per caso. Il padre salesiano Tom Uzhunnalil che è con loro viene rapito. Alcun notizie lo danno ora per ucciso. Un altro capitolo della persecuzione dei cristiani nel Vicino Oriente.

 

Yemen, le sofferenze di un Paese e dei suoi bambini

 

Judit, Reginette, Anselm, Marguerite e Sally sapevano i rischi che correvano. Non sono scappate. Non hanno abbandonato gli infelici al loro destino (potessimo sempre dire altrettanto noi europei, che siamo pure in ben altre condizioni).

Da più di un anno la guerra imperversa in Yemen.

I ribelli sciiti, sostenuti dall’Iran, hanno conquistato parte del Paese, compresa la capitale, e l’Arabia Saudita, che guida una coalizione di Paesi a sostegno del governo sunnita, li bombarda.

Ai due schieramenti che si fronteggiano si sono aggiunti, a complicare la guerra, gruppi terroristici dell’estremismo islamico.

Una situazione che ricorda la Siria. Anche per il gran numero di sfollati (2 milioni e mezzo) e profughi (170 mila, secondo i dati Onu di questi giorni).

Lo Yemen, benché povero (320 mila bambini patiscono la fame, e due terzi della popolazione ha bisogno di aiuto), è di grande importanza strategica, collocato com’è sulla punta della penisola araba.

 

Non hanno abbandonato gli infelici

 

Le suore di Madre Teresa hanno continuato a servire i loro infelici sotto le bombe.

Nel giugno del 2015 avevano scritto una struggente lettera alle loro consorelle di Roma, di San Gregorio al Celio. Raccontavano delle bombe che cadevano giorno e notte. Dei soldati che a terra attaccavano con violenza (Aden è precariamente in mano ai filo-governativi). Di loro che continuavano a pregare e a servire. A pulire, lavare, cucinare.

Scrivevano:

«Mentre la guerra continua ci troviamo a calcolare quanto cibo abbiamo e ci chiediamo: sarà sufficiente per oggi? […] Con fiducia amorevole e abbandono totale noi cinque corriamo verso la nostra casa di accoglienza, anche quando il bombardamento è pesante. Ci rifugiamo a volte sotto gli alberi, pensando che questa è la mano di Dio che ci protegge e poi corriamo di nuovo velocemente per raggiungere i nostri poveri, che ci attendono sereni. Sono molto anziani, alcuni non vedenti, altri con handicap mentali o fisici. Immediatamente iniziamo il nostro lavoro, puliamo, laviamo, cuciniamo utilizzando gli ultimi sacchi di farina e le ultime bottiglie di olio, proprio come nella storia del profeta Elia e della vedova. Qualcuno suona al nostro cancello: è un uomo che noi non conosciamo; ha portato del pane fresco, nonostante le sparatorie e i bombardamenti. Ha lasciato il pane e se n’è andato».

Raccontavano altri episodi di sconosciuti che portavano cibo o medicine.

Accanto a un’umanità che ammazza c’è sempre una umanità che soccorre, cura, aiuta, anche a rischio della vita. Così, per puro amore. L’altra faccia dell’umanità, che ci aiuta a sperare. A credere che non siamo consegnati del tutto al dominio della forza e del denaro. Anche se questo dominio lo dobbiamo guardare in faccia, bene.

 

Armi e bombe occidentali (anche italiane)

 

Le bombe saudite che cadono sullo Yemen (due giorni fa sono finite su un mercato uccidendo quarantuno persone, a febbraio avevano colpito un ospedale di Medici senza frontiere) sono di fabbricazione inglese e americana.

L’Arabia Saudita, secondo importatore al mondo di armi, dopo l’India e prima della Cina, compra gli armamenti da Stati Uniti (il 55%), Regno Unito (17%), Francia (6,2%), Spagna (4,2%), Italia e Germania (2,4%).

Anche gli Emirati Arabi Uniti, ben coinvolti nella guerra in Yemen accanto ai sauditi, sono clienti privilegiati, il quarto acquirente di armi al mondo.

Questi ricchi Paesi  comprano armi in cambio di petrolio, e collocano i loro capitali nelle banche e nelle società occidentali. Sui traffici di armi in partenza anche dall’Italia (Sardegna) e sulle responsabilità del nostro Paese c’è stata una denuncia di Amnesty International.

Un rapporto dello scorso gennaio delle Nazioni Unite ha accusato nel dettaglio la Gran Bretagna per la vendita di armi all’Arabia Saudita, colpevole di oltre cento violazioni dei diritti umani contro i civili in Yemen. Il parlamento europeo ha votato una mozione per l’embargo di armi ai sauditi. Chissà che seguito avrà. Proviamo a indovinare.

 

Un capitolo della Terza guerra moniale

 

Il povero Yemen è uno degli sconosciuti capitoli della terza guerra mondiale che si combatte a pezzi, come ha denunciato papa Francesco.

Guerra che ha il suo disgraziato teatro per lo più nel Vicino Oriente e in Africa e che è alimentata dal colossale traffico di armi, dal controllo di vitali risorse energetiche e minerarie, dagli interessi contrastanti delle grandi potenze che sostengono i vari Paesi che entrano nei conflitti, dal terrorismo fondamentalista islamico, armato e finanziato dai contendenti in lotta.

Ogni volta che si guarda dentro a uno di questi «pezzi» di guerra mondiale si vede il medesimo scenario. Il medesimo dominio del denaro e della forza. E le medesime nefaste conseguenze: distruzioni, morti, profughi a migliaia, a milioni.

Ma c’è anche sempre qualcuno, come le suore di Madre Teresa, che nonostante tutto continua ad assistere, pulire, cucinare, lavare. A soccorrere, accogliere. Perfino a morire, per questo.

 

Pubblicato sul quotidiano “l’Adige” il 18 marzo 2016