Nelle stesse ore in cui dei barbari appiccavano il fuoco al portone della casa delle suore Elisabettine di Lavarone, rinomato centro turistico trentino, destinata ad accogliere ventiquattro donne profughe provenienti dalla Nigeria, le Nazioni Unite diffondevano un drammatico appello alla comunità internazionale per salvare la vita di 75 mila bambini che nei prossimi mesi rischiano di morire di fame proprio in Nigeria.
Ma sono 14 milioni le persone che nel Nord e soprattutto nel Nord Est del Paese, ha detto il rappresentante dell’Onu Peter Lundberg, hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria a causa del terrorismo jihadista di Boko Haram che le ha costrette ad abbandonare le proprie case, la propria terra, il proprio lavoro e a rifugiarsi negli affollatissimi campi profughi. Dove c’è bisogno di tutto e a rischio di sopravvivenza sono soprattutto i bambini.
Ne dava notizia l’edizione online del quotidiano britannico «The Guardian» l’altro ieri, mercoledì 16 novembre, proprio mentre a Lavarone si scopriva l’attentato contro l’arrivo delle profughe nigeriane. Da sprofondare per la vergogna.
Questo il benvenuto che hanno dato un terra civile come il Trentino e una comunità civile come Lavarone a queste persone che hanno lasciato la Nigeria e che dopo tante sofferenze e violenze cercano da noi una vita più umana. Semplicemente più umana, quella che ciascuno desidera. Vivere in pace e in dignità.
Quanto questo sentimento di vergogna per l’attentato sia diffuso e sincero, a Lavarone, come a Soraga, dove recentemente c’è stato un analogo attentato, come in tutto il Trentino, a prescindere da chi ha appiccato il fuoco, lo dirà il concreto atteggiamento delle persone.
In Nigeria le vittime del terrorismo sono state in questi anni più di 20 mila.
In Europa abbiamo avuto sanguinosi attentati da parte del terrorismo islamista, e proprio pochi giorni or sono abbiamo ricordato l’orrenda strage al Bataclan di Parigi avvenuta un anno fa.
Ma per quanto terribili, questi attentati non sono paragonabili alle atrocità e alle distruzioni che quotidianamente tante popolazioni dell’Africa e del Vicino Oriente subiscono dal medesimo terrorismo jiadista.
Proprio lo stesso quotidiano britannico «The Guardian», in un altro articolo, citava il rapporto sul terrorismo globale dell’Institute for Economics and Peace secondo il quale il 72% di tutti i morti per terrorismo del 2015 (che sono stati 29.386) sono avvenuti in Iraq, Afghanistan, Nigeria, Pakistan e Siria: proprio i Paesi dai quali provengono tre quarti dei profughi che arrivano in Europa.
Questi profughi sono vittime del terrorismo, ma quando arrivano da noi la propaganda politica li trasforma in terroristi. O in criminali.
Le vittime trasformate in carnefici. Per alimentare la paure e raccogliere voti. Un vero e proprio crimine contro l’umanità.
Di questo devono essere consapevoli le nostre comunità, a prescindere da chi ha commesso l’attentato, che venga o non venga da fuori. Ciascuno, a cominciare dal cosiddetto cittadino comune, deve rendersi conto che è in atto una vergognosa criminalizzazione della figura del profugo.
Ci sono trasmissioni televisive, e giornali e notizie fatte girare sul web, che ogni giorno non fanno altro: criminalizzare il profugo, farlo diventare il colpevole di tutto. Ma se dedicassero il 10% dello spazio alle dolorose storie della stragrande maggioranza dei profughi, o alle 20 mila vittime del terrorismo in Nigeria, di cui ignoriamo l’esistenza, o ai 75 mila bambini che rischiano di morire di fame in quel Paese, forse l’atteggiamento di tanti cambierebbe.
Già, la fame.
Solo quelli che hanno vissuto i momenti più neri della seconda guerra mondiale se la ricordano da noi.
Ma quella che oggi stermina così tante vite umane noi non la conosciamo. Non vogliamo conoscerla.
«Quando un corpo mangia meno di quanto gli occorre comincia a mangiare le proprie riserve di zuccheri; poi quelle di grassi. Si muove sempre meno: diventa letargico. Perde peso e difese: il suo sistema immunitario si indebolisce sempre di più. Viene attaccato da virus che gli provocano diarree e lo svuotano. Parassiti che il corpo non è più capace di contrastare si insediano nella sua bocca, fanno molto male. Alla fine comincia a perdere la scarsa massa muscolare che ha; non è più in grado di alzarsi in piedi, e tutto a un tratto non potrà più muoversi; fa male. Si rannicchia, si raggrinzisce: la pelle si piega e si spacca; fa male. Piange piano; in silenzio, aspetta che finisca» (M. Caparrós, La fame, Einaudi, Torino 2015).
Criminalizzare le vittime è una cosa ripugnante di fronte alla quale nessuna persona può assistere senza reagire. Si imbarbarisce lentamente, passo dopo passo, silenzio dopo silenzio, bugia dopo bugia, mezza verità dopo mezza verità, slogan dopo slogan.
È una storia che conosciamo. Così nel secolo scorso tanti bravi e semplici cittadini comuni, anche della nostra bella Italia, si sono lasciati vincere dalle ideologie totalitarie, da quelle razziste, dall’odio per lo straniero e si sono trasformati in carnefici. O in complici, più o meno volontari, dei carnefici.
Si sono lentamente distrutti dentro prima di distruggere o lasciar distruggere fuori.
Ciascuno ha una coscienza e la deve usare, non ci sono scuse. E se la deve formare, giorno dopo giorno, scegliendo a chi dare credito.
Pubblicato sul quotidiano «l’Adige» il18 novembre 2016