Arrivano da noi su pericolanti e mortali barconi, a mani vuote. Ci spaventano perché sono poveri e magari perché sono neri. Abbiamo mai pensato a come invece siamo andati noi da loro? Noi bianchi, noi europei, noi italiani?
Ci siamo andati con le navi negriere, con le cannoniere, imbracciando fucili e mitragliatrici, con i bombardieri.
Ci siamo andati con la nostra ricchezza e potenza. Ci siamo spartiti l’Africa, da cima a fondo, ce la siamo divisa tra noi europei seduti attorno a un tavolo, disegnando confini col righello. Questo è mio, questo è tuo. Quel fiume me lo prendo io, quella città la lascio a te.
Ci siamo presi il loro Paese, la loro terra, le loro ricchezze, le loro vite.
Abbiamo umiliato, schiavizzato, sterminato.
Abbiamo mai pensato al loro terrore di fronte alla nostra invasione?
Ci sono anniversari necessari, come quelli che non vogliamo ricordare. Uno di questi è l’ottantesimo anniversario della strage dei monaci copti a Debre Libanos, in Etiopia, a opera dell’esercito italiano invasore. La Marzabotto degli etiopi, vittime dei carnefici italiani.
La sera del 19 maggio 1937, come racconta lo storico Angelo Del Boca (Italiani, brava gente?, Neri Pozza, Vicenza 2005) che con coraggiose ricerche ci ha fatto scoprire le crudeltà del nostro colonialismo, per decenni occultate, l’esercito italiano guidato dal generale Pietro Maletti circondava il monastero cristiano copto di Debre Libanos, ottanta chilometri a nord della capitale Addis Abeba.
Un imponente e vasto complesso, fondato nel tredicesimo secolo, composto da due grandi chiese e da un migliaio di tucul (capanne a forma circolare) abitati da monaci, preti, diaconi, studenti di teologia.
Dopo il fallito attentato del 19 febbraio di quell’anno al viceré Rodolfo Graziani a opera di due studenti di origine eritrea che intendevano reagire ai massacri da lui ordinati (e che lo fanno ricordare come «il macellaio»), su ordine di Mussolini erano state scatenate feroci rappresaglie sui civili ed esecuzioni sommarie dei militari etiopi catturati.
Secondo vaghe voci, i due attentatori nel corso della fuga avevano trovato rifugio nel monastero. Il generale Maletti aveva ricevuto da Graziani questo telegramma: «Passi per le armi tutti i monaci indistintamente».
Il 21 maggio Maletti trasferiva i monaci nella piana di Laga Wolde, pochi chilometri distante, e li faceva trucidare. Graziani poteva telegrafare a Mussolini che erano stati fucilati 297 monaci, incluso il vice-priore, e 23 laici. Erano stati risparmiati i giovani diaconi.
Pochi giorni dopo, però, Graziani ordinava il massacro anche di questi.
Il 26 maggio 129 diaconi, quasi ragazzi, venivano fucilati. Il viceré macellaio poteva quindi telegrafare a Roma che il totale dei giustiziati era salito a 449.
In realtà le vittime furono di più.
Gli storici Ian L. Campbell (inglese) e Degife Gabre-Tsadik (etiope) hanno dimostrato che le vittime di Debre Libanos furono tra le 1.423 e le 2.033 (per il mese prossimo è fra l’altro annunciata l’uscita di un nuovo libro di Campbell, The Addis Ababa Massacre. Italy’s National Shame – Il massacro di Addis Abeba. Vergogna nazionale italiana – che, probabilmente, come i precedenti non sarà tradotto in italiano).
Commenta Del Boca: «Mai, nella storia dell’Africa, una comunità religiosa aveva subito uno sterminio di tali proporzioni».
Cristiani uccisi da cristiani, anche se l’esercito fascista fece eseguire il massacro da truppe collaborazioniste musulmane.
La strage era potuta accadere anche per il disprezzo della Chiesa italiana verso i cristiani etiopi e la loro grandiosa storia spirituale e culturale, come ha ricordato lo storico cattolico Andrea Riccardi sul «Corriere della sera» del 7 marzo scorso citando le parole del cardinale Schuster di Milano che lodò l’esercito italiano per aver aperto «le porte di Etiopia alla fede cattolica e alla civiltà romana», mentre un’autorevole rivista cattolica definiva la Chiesa etiopica «una larva», anzi «un mostruoso miscuglio».
Il clericalismo cattolico e l’anticlericalismo fascista si univano ancora una volta all’insegna dell’ignoranza e del razzismo più volgari.
Qualcosa è cambiato in questi anni, anche se nessuno, né nelle istituzioni né nella Chiesa ha mai chiesto scusa e si è pubblicamente vergognato per il massacro di Debrà Libanòs, e per gli altri massacri del colonialismo italiano.
Sabato 20 maggio alle 20.45 la rete televisiva cattolica Tv 2000 trasmetterà uno speciale su Debrà Libanòs e domenica 21 alle 19 la stessa rete trasmetterà nuovamente il bellissimo e amaro docufilm Debrà Libanòs di Antonello Carvigiani.
Un’occasione per conoscere quello che ci è stato sempre nascosto, per vedere immagini e ascoltare voci che sulle reti Rai non possiamo ancora vedere e ascoltare (ma il docufilm lo possiamo vedere sul web).
Un’occasione per capire di più chi siamo noi e chi sono gli altri, quelli che oggi arrivano da noi. Inermi, disarmati.
Pubblicato sul quotidiano “l’Adige” il 20 maggio 2017
Vedi anche:
Gli italiani e il massacro di Addis Abeba
Yekatit 12, ovvero 19 febbraio: memoria della strage fascista di migliaia di innocenti etiopi (1937)