Come è possibile che l’Italia rinnovi l’accordo con la Libia sui migranti, che verrà confermato tacitamente il 2 novembre prossimo se una delle due parti non lo mette in discussione, quando le stesse autorità libiche sono sotto accusa per aver trasformato i centri di accoglienza in prigioni-lager dove si tortura e si uccide per estorcere denaro ai migranti?
Quando la Guardia costiera libica , finanziata coi nostri soldi e con quelli europei, è sotto accusa per sistematiche violazioni dei diritti umani?
Quando nell’organizzazione della tratta, della detenzione, della schiavizzazione dei migranti, dei viaggi pericolosi in mare sono coinvolte autorità politiche e militari libiche , le stesse che in base a quell’accordo dovrebbero contrastare la tratta?
L’accordo Italia-Libia è stato sottoscritto il 2 febbraio 2017 dal capo del governo italiano Gentiloni e dal capo del governo di Tripoli Serraj , sotto la regia del ministro Minniti. È triennale e si rinnova automaticamente se almeno tre mesi prima una delle due parti non decide altrimenti.
Sono tre paginette: una premessa e otto articoli.
Nella sostanza: soldi italiani ed europei per gli apparati militari libici (non dimentichiamo che la Libia è un paese in guerra, e noi la finanziamo); soldi per “programmi di crescita nelle regioni colpite dal fenomeno dell’immigrazione illegale”, cioè per “energie rinnovabili, infrastrutture, sanità, trasporti, insegnamento, formazione, ricerca scientifica” (tragico: i libici ci guadagnano sui migranti e noi li “rimborsiamo”…); soldi per la Guardia costiera libica, “supporto tecnico e tecnologico”, cioè motovedette, formazione, ecc. (l’Onu ha detto che la Guardia costiera libica è implicata in gravi violazioni dei diritti e coinvolta nel traffico dei migranti).
Soldi, soldi, soldi, una montagna di soldi perché fermino i migranti .
Dove? Nei “campi di accoglienza temporanei in Libia, sotto l’esclusivo controllo del Ministero dell’Interno libico, in attesa del rimpatrio o del rientro volontario nei paesi d’origine”.
Ma questi “campi di accoglienza temporanei” sono in realtà delle prigioni-lager , statali o illegali (che stanno in piedi con la complicità di organi statali, militari e politici).
In questi lager i migranti non attendono seraficamente il rimpatrio o il rientro volontario nel proprio paese, come l’ipocrita accordo italo-libico scrive. Ma vivono in condizioni disumane, come decine di rapporti hanno dimostrato, l’ultimo dei quali dello stesso Segretario generale delle Nazioni Unite, Guterres, di un mese fa.
In queste prigioni lager i migranti sono detenuti finché non pagano un riscatto, estorto loro con violenze e torture che i loro familiari possono sentire “in diretta” tramite il cellulare attivato dall’aguzzino di turno. Se pagano vengono mandati all’imbarco per l’Italia, altrimenti restano in prigione, vengono uccisi o venduti come schiavi e schiave, oppure ai trafficanti di organi.
Ne ho scritto più volte e in maniera documentata in questi anni (rimando al mio ultimo libro “Tempi feroci. Vittime, carnefici, samaritani” dove raccolgo testi pubblicati e nuovi, e dove cito fonti inoppugnabili ), ma bisogna continuare a ripeterlo perché circolano troppo informazioni sbagliate sulla Libia e il traffico dei migranti.
Il problema non sono gli scafisti, come ritiene anche Antonio Marchi nella lettera pubblicata sul “Trentino” di domenica 20 ottobre che propone di ucciderli tutti per stroncare il traffico di migranti.
Gli scafisti sono i manovali, l’ultima rotellina di organizzazioni e trafficanti potenti che si guardano bene dal guidare gommoni destinati ad affondare dopo pochi chilometri. A volte gli scafisti sono dei profughi costretti a farlo o che hanno avuto uno sconto per il viaggio, viaggio voluto e organizzato da altri. E questi altri sono spesso gli stessi che tengono in prigione i migranti, li maltrattano e torturano per denaro.
Cioè sono pezzi di Stato libico o potenti criminali che agiscono con la complicità dello Stato.
In un articolo pubblicato sul “Trentino” il 10 ottobre (“Il capo degli scafisti? Lo paghiamo noi”) ho citato l’illuminante e terribile inchiesta di Nello Scavo di “Avvenire” che ha dimostrato come al tavolo tra libici e italiani, istituito dopo l’accordo del febbraio 2017, sedeva anche Abdal-Rahman Milad, detto Bija, noto criminale internazionale, capo degli aguzzini e degli scafisti.
Ma a qualcuno fa comodo prendersela con le Ong o la Guardia costiera italiana che salvano le vittime di queste organizzazioni criminali.
Gli accordi con la Libia vanno radicalmente rivisti. Altrimenti continuiamo ad essere complici di crimini contro l’umanità che avvengono ogni giorno sotto i nostri occhi.
Pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 24 ottobre 2019.