Riproponiamo all’attenzione questo articolo del 2019 come omaggio alla Russia di cui non possiamo fare a meno, soprattutto in questi momenti. Alla voce Fedor M. Dostoevskij di questo blog si possono trovare numerosi altri articoli.
Se amate Dostoevskij e vi trovate a passare per Bolzano (ci si può andare anche apposta) fate un salto al cimitero comunale di Oltrisarco e portate un fiore sulla tomba di sua figlia Ljubov’.
Il 26 settembre scorso ricorreva il 150° anniversario della sua nascita, avvenuta a Dresda nel 1869.
Bolzano ha ricordato degnamente, ancora una volta, la figlia del grande scrittore, morta esule in una casa di cura nel quartiere di Gries, il 10 novembre del 1926.
Dei quattro figli di Anna e Fedor Michajlovich Dostoevskij, due erano morti piccoli.
Ljubov, che vuol dire “amore”, aveva poco meno di 12 anni, e suo fratello, Fedor (lo stesso nome del padre) un anno meno di lei quando il fotografo li ritrasse accanto alla madre e ad alcuni parenti e amici sulla tomba del grande genitore, da poco sepolto, ai primi di febbraio del 1881.
Personalità forte, indipendente, era diventata scrittrice a sua volta. Aveva uno sguardo acuto sulla realtà sociale e la psicologia umana, e una propensione ai giudizi schietti e perentori.
La tensione tra Europa e Russia, tra ortodossia e cattolicesimo, tra modernità e tradizione, tra fede e ateismo, tra intellettuali e popolo domina i suoi libri, almeno quelli tradotti in italiano.
D’altronde questa tensione era stata al centro di molti scritti di suo padre, della cui immensa eredità culturale era stata, accanto alla madre, fedele custode.
La critica verso la figlia scrittrice non fu benevola, anche se i suoi libri ebbero un certo successo.
Ljubov era tormentata da una salute fragile che la portava spesso a frequentare le località di cura e turistiche più famose d’Europa. La guerra mondiale l’aveva sorpresa mentre si trovava all’estero, la rivoluzione d’ottobre le impedirà poi di ritornare in patria.
Nel 1912 la troviamo a Roma e le vivissime e contraddittorie impressioni che la città eterna suscitano in lei formano la sostanza del romanzo L’emigrante. Tipi moderni che l’associazione Rus’ di Bolzano ha pubblicato per la prima volta in italiano, con testo russo a fronte, in occasione proprio del 150° anniversario della sua nascita, per la traduzione e la cura di Marina Mascher e Michail Talalay.
Più che un’emigrante, la protagonista, Irina, molto simile all’autrice, è una turista, ricca, curiosa, inquieta, attratta dalla fede cattolica, in attesa dell’amore o di entrare in convento.
È combattuta tra la modernità europea e la fedeltà alle radici russe, ha uno sguardo critico su ambedue. La tensione è irrisolta.
Negli anni successivi, costretta all’esilio e a lavorare per mantenersi, come scrive lei stessa, Ljubov pubblica una biografia del padre “Dostoevskij nei ricordi di sua figlia”, che esce all’indomani della guerra e della rivoluzione e che viene tradotta nelle principali lingue europee, in italiano nel 1922.
La firma col nome francese di Aimée, “amata” (ed è con questo nome che è sepolta nel cimitero di Oltrisarco). Ricordi di una bambina, ma anche notizie apprese da sua madre e da altre fonti, anche personali valutazioni di carattere psicologico, umano, politico.
Ricorda l’amore del padre per i figli. Li seguiva, leggeva loro ogni sera indimenticabili storie e con loro recitava la preghiera prima della buona notte.
Lui poi andava nella sua piccola stanza-studio e scriveva fino alle quatto o alle cinque del mattino.
Sul letto di morte fece chiamare i due figli e chiese che la madre leggesse loro la parabola evangelica del figliol prodigo.
Poi disse loro:
Abbiate un’assoluta fiducia in Dio, e non disperate mai del suo perdono.
Era il Cristo della misericordia e della fraternità universale quello che Dostoevskij consegnava ai suoi figli e all’umanità, quel Cristo che l’Europa della tecnica, degli affari, degli intellettuali, delle rivoluzioni politiche aveva dimenticato e che il popolo russo, il popolo contadino, conservava. E che aveva la missione di restituire all’umanità smarrita.
Nella primavera del 1926 Ljubov è ad Arco, a Villa Editha, sempre per curasi (forse l’innominabile tubercolosi). Lamenta la sua “miserabile condizione di profugo” in una lettera alla cognata.
Poi torna a Gries, al Grieserhof, la casa di cura dove muore in solitudine il 10 novembre.
“Non si invecchia molto nella famiglia di Dostoevskij”, aveva scritto nella biografia di suo padre.
Bolzano ne ha conservato con affetto la memoria.
Pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 31 ottobre 2019.