Il pane dei migranti. Una bella storia di integrazione

“Se siamo cresciuti è per loro”. Lo dice senza giri di parole Monica Martinelli parlando dei profughi e dei migranti che lavorano presso il panificio in Val di Gresta di cui è proprietaria insieme al marito Fabrizio Sterni. Un’azienda di successo.

Il Trentino delle valli e delle periferie è spesso più dinamico, aperto e, diciamolo pure, intelligente di quanto i professionisti della chiusura e del razzismo vorrebbero far credere.

La signora Monica parla in un incontro pubblico sul tema delle migrazioni svoltosi venerdì scorso a Ronzo Chienis, in Val di Gresta, mille metri d’altitudine, mille abitanti.

C’è la sindaca del paese, Piera Benedetti, che introduce. Ricorda che gli immigrati, di numerose nazionalità, sono ormai parte integrante delle nostre comunità, anche di montagna. E che invece di aiutarli a casa loro li stiamo depredando a casa loro delle risorse di cui i loro paesi sono ricchi, mentre loro son o poveri.

C’è Roberto Calliari, assessore del comune di Mori, di cui fa parte un altro paese della Val di Gresta, Valle San Felice, 270 anime, dove sono stati accolti in questi anni 17 giovani profughi africani e asiatici. Dall’ostilità iniziale si è passati all’accoglienza positiva.

Mori ha dato vita a un coordinamento , attivo da cinque anni, che mette insieme amministrazione comunale, parrocchia, cooperative sociali, associazioni, volontari e che ha gestito con cura l’accoglienza dei profughi nella zona (una cinquantina). Un’esperienza esemplare. La buona politica risolve i problemi, la cattiva li drammatizza.

È presente in sala anche il parroco di Mori, don Augusto Pagan, quindici anni di missione in America Latina. Conosce i paesi impoveriti. La sua parrocchia è viva: giovani, catechesi, solidarietà, accoglienza.

C’è, appunto, Monica Martinelli del panificio Val di Gresta. Dieci dipendenti di cui sei stranieri. I nostri trentini, dice, non vogliono fare questo lavoro, tranne qualche eccezione. Abbiamo cercato, niente.

Il lavoro comincia a mezzanotte, ci sono anche i turni domenicali, perché negozi e supermercati della Vallagarina chiedono il pane se aprono di domenica. Un lavoro artigianale, non industriale, che dà tante soddisfazioni pur con tanti sacrifici. Si impara un mestiere di qualità.

Fare bene il pane è uno dei più bei mestieri della vita. Le paghe sono buone, i contratti ovviamente regolari. I giovani migranti hanno dimostrato, dice, voglia di imparare, capacità, affidabilità. La nostra azienda senza la presenza dei giovani profughi accolti a Valle San Felice sarebbe stata in difficoltà e non sarebbe cresciuta.

Poi, in un dialogo con la volontaria Manuela Ciaghi, parla uno dei giovani profughi che lavorano nel panificio, Samba, 21 anni, del Gambia. Racconta della sua famiglia povera, il papà che muore nel 2010. Lui è il più grande di quattro tra fratelli e sorelle, e due anni dopo, quattordicenne, parte in cerca di fortuna per mantenere la famiglia: Senegal, Mali, Niger, Libia. Lavori da manovale e muratore.

Poi 11 mesi di prigionia in un centro di detenzione (lager) in Libia. Centro persone in ogni stanza. Si dormiva per terra a turno. Torture e violenze per estorcere soldi, pochissima igiene, cibo quel tanto per non morire. Quindi il riscatto, pagato tre volte ai carcerieri. La mamma ha per questo dovuto vendere la casa.

Poi il barcone, il terrore, la Guardia costiera italiana, la salvezza, Crotone, il Trentino, Valle San Felice, la buona accoglienza, il lavoro nel panificio, la vita che rinasce.

All’inizio di questo anno, Samba dice alla volontaria Manuela: a maggio si sposa in Gambia mia sorella Delam, noi siamo orfani, anche la mamma è morta. Io sono il fratello maggiore e dovrei accompagnare Delam al matrimonio, ma non posso andare, non ho i documenti. Tu, Manuela, sei come una madre per me, lo saresti anche per mia sorella. Puoi accompagnarla tu al matrimonio?

Racconta Manuela: ci ho pensato, avevo paura del viaggio, poi ho detto di sì, e con mio marito, mia figlia e un’amica siamo andati al matrimonio di Delam, in Gambia.

Manuela, con l’aiuto di bellissime foto e con intensa partecipazione umana, ha descritto al pubblico di Ronzo Chienis la cerimonia. L’accoglienza da parte dei familiari di Samba e degli anziani della comunità, il rito musulmano, la festa. Indimenticabili emozioni.

Accadono anche queste storie nelle nostre valli.

 

Pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 19 dicembre 2019