“Signor Sindaco, Autorità, Amici ed Estimatori di don Marcello Farina.
Con l’Aquila di San Venceslao che il Sindaco, Alessandro Andreatta, consegna a don Marcello Farina, la città di Trento premia un maestro di libertà.”
“Ringraziamo di cuore il Sindaco per questa sua decisione.
Tra le definizioni possibili di una personalità così multiforme come don Farina, quella di maestro di libertà mi sembra la più adeguata a coglierne il tratto dominante.
Che è anche quello più necessario per la vita di una comunità. Anche quello più temuto e osteggiato. La libertà costa, costa a chi la insegna, costa a chi la pratica.
È costato tanto a don Marcello essere un uomo, un cristiano, un prete, un professore maestro di libertà. È costato tanto.
Questo riconoscimento gli rende giustizia. Grazie, signor Sindaco.
Una città non vive solo di negozi e di musei, di aziende e di scuole, di uffici e di parchi. Vive di donne e uomini che hanno il gusto della libertà.
La passione della libertà. Perfino il tormento della libertà. Ma la libertà è un peso per gli umani. Una fatica a volte insopportabile.
I maestri di libertà disturbano e inquietano. Portano scompiglio.
Eppure, siccome siamo fatti per la libertà, senza la libertà siamo morti. Senza cittadini che amano e praticano la libertà una città è morta, anche se si vive bene e tutto funziona. Anche una Chiesa è morta senza libertà. Anche una scuola è morta. Noi siamo morti.
Don Marcello Farina, maestro di libertà nella città, nella Chiesa, nella scuola ha reso migliore questa comunità. Le ha aperto porte e finestre perché entri l’aria che dà vita. E questa città oggi lo ringrazia attraverso il suo Sindaco.
È un momento di grande gioia, non solo, immaginiamo, per don Marcello, ma per tutti coloro che hanno avuto il dono della sua parola, della sua vicinanza, della sua amicizia. E che lo ringraziano per questo dal più profondo del cuore. Grazie don Marcello.
Nel bel libro-intervista che Piergiorgio Cattani gli dedicò quattro anni fa, intitolato Il pane di Farina. Conversazioni al tramonto di un mondo, don Marcello ricorda che è a sua madre, Antonietta Battaglia, maestra elementare, che deve la sua libertà spirituale. Donna di fede, ma con spirito critico. In tempi e contesti insofferenti dello spirito critico.
Don Marcello Farina è nato a Balbido, piccolo paese delle Valli Giudicarie, l’11 ottobre 1940. E al suo paese è rimasto molto legato. Suo padre, Giuseppe Fortunato, aveva vissuto l’esperienza tragica della guerra, sia in Africa sia sui fronti europei. Poi ha fatto l’operaio ed è stato emigrante.
Primogenito con quattro sorelle, don Marcello ricorda se stesso come un bambino “non certo inquieto e neppure conformista”.
Un momento della cerimonia: don Marcello Farina col sindaco di Trento Alessandro Andreatta.
Entra giovanissimo nel seminario di Trento ed è ordinato sacerdote dal vescovo Alessandro Maria Gottardi il 27 giugno 1965. Sono gli anni meravigliosi e turbolenti del Concilio Vaticano II inaugurato da papa Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962, giorno del compleanno di don Marcello. Un segno del destino. Il Concilio lo marchierà a fuoco.
È cappellano ad Arco, poi nella parrocchia del Duomo a Trento. Decide anche di iscriversi alla Facoltà di filosofia dell’Università di Padova perché sente fortissimo il bisogno di studiare. Di ampliare e approfondire la sua formazione. Studia nei ritagli di tempo.
Dal 1971 è insegnante di religione presso le scuole medie Bresadola, sempre a Trento.
Si laurea nel 1974 con una tesi sul filosofo Kierkegaard. Che scrisse nel suo diario: “Il cristianesimo è l’inquietudine, la massima, la più grande possibile”.
Poi consegue il dottorato con una tesi sul filosofo Schleiermacher.
Nel 1976 inizia al liceo Galilei la sua attività di insegnante di storia e filosofia. Sarà la sua professione. Generazioni di studenti cresceranno con le sue lezioni limpide, preparate con estrema cura, che insegnavano ad aprire la mente ai grandi e contrastanti pensieri nati dalla ricerca appassionata di uomini e donne.
Ma sarebbe fare un torto alla verità se non ricordassimo quanto don Marcello soffrì per essere isolato dalla Curia. Diversi preti, però, lo invitavano presso le parrocchie della città a celebrare la messa e a predicare. L’isolamento fu attenuato anche dalla nomina, nel 1978, ad assistente della Fuci, gli universitari cattolici, e poi dell’UCAI, l’associazione degli artisti cattolici.
La sua attività di insegnante si ampliò: lo troviamo docente al Corso superiore di scienze religiose presso la Fondazione Bruno Kessler e di ermeneutica all’Università di Trento. E docente all’Università della Terza Età, dove insegna da trent’anni e dove i suoi corsi di storia e filosofia sono stati talmente seguiti da superare talvolta i 500 frequentanti.
Molte le sue ricerche e le sue pubblicazioni. In particolare su Antonio Rosmini, la storia della Chiesa trentina, l’Accademia roveretana degli Agiati, gli illuministi trentini. E poi su Raiffeisen e don Guetti, padri della cooperazione che tanta parte ha avuto e ha nella vita della nostra terra. Alle ricerche su don Guetti, scrive don Farina, “ho dato l’anima”. E tanto lo tormentano le difficoltà che la cooperazione sta vivendo.
Per questo collabora con la Fondazione don Lorenzo Guetti che sta svolgendo una importante attività di ricerca e formazione e che ha sede a Larido, nel Bleggio, luoghi di nascita sia di don Guetti sia di don Farina.
Intensa anche la sua attività divulgativa, come conferenziere, molto apprezzato, in città e nelle valli. Numerosi i suoi libri, non meno apprezzati, rivolti a un vasto pubblico, su tematiche religiose, filosofiche, etiche, sociali. Davvero don Farina ha fatto crescere culturalmente questa città e la comunità della nostra provincia.
Questo sintetico profilo sarebbe però monco se non ricordassimo le messe e le prediche di don Farina in Duomo, a Trento, per sei anni. Affollatissime, seguite anche da persone lontane dalla Chiesa. Un fenomeno sociale, oltre che religioso, per ricordare il quale non ci sono parole migliori di quelle di don Livio Sparapani, grande uomo di fede e di cultura, direttore dell’Archivio diocesano trentino, che ci ha lasciato nel dicembre dello scorso anno.
Don Sparapani pubblicò su un quotidiano locale, il 16 gennaio 2001, una splendida lettera, che ho conservato, in risposta ad alcune critiche di cui fu oggetto don Marcello quando decise di interrompere quelle messe in Duomo per le continue ostilità che suscitavano in Curia. Scrisse don Sparapani:
…davanti a te stava una folla non di semplici e anonimi ascoltatori, ma di persone vere, molte delle quali tu conosci personalmente perché, in un tempo più o meno lontano, sono passate da te per farti partecipe della loro storia, spesso dolorosa e piena di incertezze, e tu le hai ascoltate, incoraggiate, hai detto a loro una parola di speranza: sei stato per molti il loro buon samaritano.
Chi pensa che hai fatto una cosa intelligente a lasciare dopo sei anni o che eri troppo stanco per predicare in duomo, forse non sa di quanti bussano giorno e notte alla tua porta non certo soltanto per le mille lire e un tozzo di pane, forse non conosce la ricchezza umanissima e tanto delicata del tuo essere prete, la tua profonda empatia, per cui si può ben dire che continuamente «fa piaga nel tuo cuore la somma del dolore che va spargendo sulla terra l’uomo» [è un verso di Ungaretti].
Posso dire, e lo puoi dire anche tu senza falsi pudori, che i pani e i pesci che avevi li hai messi sempre e tutti nelle mani di Dio che, benedicendoli e moltiplicandoli, permetteva a tutte quelle persone di tornarsene a casa ognuno col suo pezzo di pane e di pesce. Ecco perché molti erano gli affamati di verità e i cercatori di Dio ad affollare il duomo quando tu donavi a loro il frutto del tuo impegno e del tuo dolore.
Altri ora ti ascolteranno in altri luoghi e in altre chiese e non ti mancherà certo chi verrà a cercarti finché resterai il buon samaritano che sei stato finora.
Una città ha bisogno di queste persone, di questi riferimenti. Torri e campanili non di pietra che svettano sopra gli altri, ma punti di riferimento in carne ed ossa, persone che diventano per tanti un orientamento e un sostegno nei crocevia della vita: le nascite e i battesimi, le relazioni e i matrimoni, la malattia e la festa, le morti e i funerali.
Don Marcello, maestro di libertà, è stato ed è anche un maestro di umanità. E oggi siamo qui, col Sindaco di questa città, a dirgli grazie. Grazie di cuore don Marcello.”
Intervento in occasione della consegna dell’Aquila di San Venceslao a Don Marcello Farina – Trento, 23 luglio 2020.