Con la cancellazione delle norme più disumane dei decreti cosiddetti “sicurezza”, approvata dal governo lunedì notte 5 ottobre, l’Italia torna ad essere un paese civile.
Non sarà più respinta, ad esempio, una persona verso uno Stato quando rischi di subire “trattamenti inumani o degradanti”, non solo la tortura, è scritto nell’art. 1 del nuovo decreto.
Ci sono voluti 13 mesi perché il nuovo governo scrivesse questa e le altre norme. Tredici mesi per ristabilire nelle nostre leggi alcuni principi base di una comunità civile.
Adesso si comincia a rivedere le stelle e a lasciare alle spalle i gironi infernali in cui sono stati cacciati i profughi, le persone più deboli, con i decreti “sicurezza” del 24 settembre 2018 e del 14 giugno 2019.
Il Conte pentito, grazie alla vittoria elettorale del Pd e alla sconfitta della Lega (cioè grazie agli “italiani”, come dicono i politici) e grazie alle osservazioni, a suo tempo, del presidente Mattarella e alla sentenza della Corte Costituzionale del 9 luglio scorso (che definiva “irrazionale” e “irragionevole” la norma che vietava l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo) ha firmato lunedì un decreto che in 12 articoli prevede:
il ripristino dell’iscrizione all’anagrafe comunale;
il ripristino del sistema di accoglienza per i richiedenti asilo, non solo per coloro che hanno già ottenuto la protezione internazionale, in piccoli gruppi, opposto alla concentrazione di un gran numero di persone in un unico centro, come voleva il decreto Salvini (e se ne sono visti gli effetti negativi anche in Trentino);
l’istituzione del Sai (Sistema di accoglienza e integrazione: torna l’integrazione bandita da Salvini);
il ripristino dell’insegnamento della lingua italiana, dell’assistenza sociale e psicologica, dei progetti di inserimento lavorativo per i richiedenti asilo, dei progetti di integrazione nella comunità (che gli sciagurati decreti avevano tolto, con conseguenti costi umani altissimi e aumento della emarginazione sociale, cui aveva fatto fronte, per fortuna, la mobilitazione della società civile che, anche in Trentino, aveva attenuato alcuni dei peggiori effetti);
la non espulsione di chi è ben inserito e la possibilità che i permessi di soggiorno per calamità, residenza elettiva, acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide, per attività sportiva, per lavoro artistico, per motivi religiosi, per assistenza ai minori siano convertibili in “permessi di soggiorno per motivi di lavoro, ove ne ricorrano i requisiti” (il rispetto della persona del migrante e della sua famiglia e la valorizzazione del lavoro come strumento fondamentale di inserimento nella società, contro l’assistenzialismo provocato dai decreti Salvini che avevano abolito i progetti di inserimento lavorativo e di integrazione);
la riduzione a 3 anni dei termini massimi di attesa per la richiesta di cittadinanza, contro i 4 di Salvini (ma erano 2, prima, e questo è un punto debole per i nuovi italiani che attendono di essere riconosciuti come tali);
la drastica riduzione delle multe per le navi delle Ong che salvano i migranti (da un massimo di 1 milione, a un massimo di 50 mila euro: anche qui il nuovo decreto accoglie i lontani rilievi del Capo dello Stato, ma restano le multe e questo è un punto di debolezza grave).
Ci sono poi altre norme che puniscono le risse (dopo l’assassinio del giovane Willy Duarte che aveva cercato di sedarne una), l’introduzione di cellulari nelle carceri e che rendono più pesanti le sanzioni previste dal 41 bis (regime duro per alcuni gravi reati).
Nel complesso questo nuovo decreto è un atto di civiltà.
Con un’ombra di non poco conto.
Ma l’ombra maggiore resta la mancanza di una politica seria di ingresso regolare dei migranti nel mercato del lavoro in Italia e in Europa. Che li spinge a cercare di entrare in altro modo.
Bisogna superare finalmente la legge Bossi-Fini e chiuderla con le sanatorie. L’Italia e l’Europa devono finalmente voltare pagina.
Pubblicato sul quotidiano “Trentino” giovedì 8 ottobre 2020.