Noi, ancora oggi popolo di emigranti

Ieri (mercoledì 28) c’è stata la presentazione online del Dossier statistico immigrazione 2020 di Idos (il più autorevole, insieme a quello di Caritas-Migrantes).

L’altro ieri Migrantes ha presentato il Rapporto italiani nel mondo 2020.

Due dati:  gli immigrati in Italia sono 5.306.500, gli italiani emigranti 5.486.081.

 

Come dire: trattiamo bene gli stranieri presso di noi, come vogliamo siano trattati bene gli italiani che vivono da stranieri presso gli altri.

Non sono soltanto gli italiani che si spostano molto.

La mobilità degli esseri umani nel mondo aumenta, sia quella forzata e violenta (profughi in fuga da guerre, oppressioni, miserie, catastrofi ambientali), sia quella libera (lavoratori, studenti e famiglie che cercano opportunità migliori altrove).

I migranti internazionali nel mondo sono stimati in 272 milioni. La quarta nazione dopo Cina, India e Stati Uniti, e prima di Indonesia e Pakistan.

Questa quarta nazione, nella quale ciascuno di noi ha amici, familiari, parenti – perché i trentini, oggi come ieri, sono tra gli italiani che emigrano di più – sperimenta sulla propria pelle la verità profonda delle parole di papa Francesco nella sua bellissima enciclica “Fratelli tutti”:

Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli.

L’odio per lo straniero è l’odio per se stessi. Solo la fraternità ci salva. Ci salviamo insieme. Questa è la verità.

Gli italiani continuano ad essere un popolo di emigranti. Che ha continuato a crescere negli ultimi quindici anni. Nel 2006 erano poco più di 3 milioni: da allora + 76,6%.

Va considerato che un numero consistente (tra il 40 e il 50%) di questi italiani all’estero sono discendenti di famiglie emigranti di antica data e che risiedono soprattutto in Sudamerica (Brasile, Argentina, Cile).

In termini assoluti, comunque, nel solo 2019 sono emigrati all’estero 130.936 italiani.

Ma è sbagliato  pensare che si tratti solo di “fuga di cervelli”. Questa c’è, ma c’è anche l’emigrazione “proletaria”.

Il 29,4% dei nostri emigranti è laureato, il 29,5% è diplomato, il 41,5%  ha un titolo di studio basso o nessun titolo.

 

 

Questo significa, come ricorda ancora papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti”, che bisogna assicurare col diritto di emigrare anche quello di non emigrare.

Che, cioè, ogni Paese ha il dovere di costruire un futuro per i propri concittadini senza costringerli a emigrare se non vogliono. Come scrive il Rapporto italiani nel mondo 2020:

L’Italia sta continuando a perdere le sue forze più giovani e vitali, capacità e competenze che vengono messe a disposizione di paesi altri che non solo li valorizzano appena li intercettano, ma ne usufruiscono negli anni migliori.

Il 40,9% dei nostri emigranti ha tra i 18 e i 34 anni e il 23,9% tra i 35 e i 49 anni.

Il primo dovere: creare qui futuro per i giovani, laureati, ricercatori, diplomati, ma anche per i normali lavoratori che all’estero trovano condizioni migliori. Precarie, spesso, più precarie di ieri per un emigrante. Ma anche meno precarie e più dignitose che in Italia.

Per i giovani la precarietà in Italia è spesso sinonimo di sfruttamento e di incertezza totale. Le generazioni più vecchie, o al potere, garantite e spesso privilegiate, hanno di che riflettere su quale futuro stanno costruendo per i giovani. Verso i quali sciorinano molte prediche.

È il Sud Italia che si sta spopolando.

C’è una forte emigrazione anche dalle regioni del Nord, ma in queste c’è anche una forte immigrazione, di italiani del Sud e di stranieri. E ciò impedisce lo spopolamento, se non la “desertificazione”, parola che il Rapporto usa per descrivere la situazione di molte zone del Sud Italia. Ma anche di tanti paesi del Nord.

Se invece di seminare odio per lo straniero, la politica seminasse consapevolezza di cosa sta succedendo, e saggezza e solidarietà per trovare prospettive di futuro, forse le cose andrebbero meglio. Per chi arriva e per chi parte.

 

Pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 29 ottobre 2020