“Tutto questo è a tal punto solenne, vittorioso e fiero, che cominciate a sentir un peso sul cuore…
… Voi percepite che occorre molta resistenza spirituale e un’eterna capacità di negazione per non cedere…”
Un anno con D&D
Dostoevskij vide a Londra, più di un secolo e mezzo fa, la vittoria del capitalismo e del pensiero unico e ne rimase sconvolto.
Fëdor Michajlovich Dostoevskij compì il suo primo viaggio all’estero tra giugno e agosto del 1862. Visitò Parigi, Londra, la Svizzera e l’Italia. A Londra rimase particolarmente colpito dall’esposizione universale, impressionante vetrina del trionfo del capitalismo, collocata nella capitale dell’Impero britannico che allora dominava il mondo, una metropoli dove questo sfrontato trionfo conviveva con la miseria e il degrado più squallidi. Il grande scrittore russo vide e denunciò, come un profeta dell’Antico Testamento, l’essenza materiale e spirituale di un sistema che produceva contraddizioni drammatiche e un pensiero unico.
“Questa città sconfinata come un mare e colma giorno e notte di movimento; i fischi e gli urli delle macchine; queste ferrovie edificate al di sopra delle case (e tra breve anche sotto di esse); quest’audace spirito d’iniziativa, quest’apparente disordine che in sostanza è invece l’espressione dell’ordine borghese nella sua forma più elevata; questo Tamigi avvelenato, quest’aria pregna di carbon fossile, questi stupendi giardinetti, e i parchi, e questi angoli terribili della città, come Whitechapel, con la sua popolazione stracciona, selvaggia e affamata.
E la City, coi suoi milioni e col commercio mondiale, il palazzo di cristallo, l’esposizione universale… Sì, l’esposizione è qualcosa di sbalorditivo. Vi percepite una forza tremenda che lì ha riunito in un unico gregge tutto quell’incalcolabile numero di persone giunte da ogni parte del mondo.
Voi avete coscienza di un pensiero immane: percepite che lì qualcosa è già stato raggiunto, che lì è la vittoria, lì è il trionfo.
Cominciate persino come a temere qualcosa. Per quanto siate indipendenti, pure per un qualche motivo sarete assaliti dal timore. “Non è forse questo, realmente, l’ideale raggiunto? Così vi vien da pensare. “Non è questa la fine? E non è già questo, in effetti, l’ ‘unico gregge’?”
E non bisognerà dunque accettare tutto ciò come la completa verità, e tacere per sempre?
Tutto questo è a tal punto solenne, vittorioso e fiero, che cominciate a sentir un peso sul cuore. Guardate queste centinaia di migliaia, questi milioni di persone che docili sono affluite fin qui da tutte le parti del globo terrestre: persone giunte con un unico pensiero, che si affollano tranquillamente, con ostinazione e in silenzio in questo palazzo colossale, e percepite che lì si è realizzato qualcosa di definitivo, si è realizzato e si è concluso.
È una sorta di quadro biblico, un’evocazione di Babilonia, una specie di profezia dell’Apocalisse quella che si va realizzando davanti ai vostri occhi.
Voi percepite che occorre molta resistenza spirituale e un’eterna capacità di negazione per non cedere, per non soggiacere all’effetto, per non inchinarsi davanti al fatto e per non deificare Baal, e cioè per non accettare quello che esiste come il proprio ideale…”.
Fëdor M. Dostoevskij, Note invernali su impressioni estive,
introduzione di Stefano Garzonio, traduzione e cura di Serena Prina,
Feltrinelli, Milano 1993, pp. 52-53.
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