Il 25 aprile abbiamo ricordato i resistenti. Con ammirazione e gratitudine.
Il giorno dopo chiediamoci: perché furono così pochi? Perché ci vollero la guerra, i bombardamenti e gli alleati per risvegliare le coscienze? Perché la Chiesa si adeguò alla dittatura fascista? E i pochi leader politici cattolici antifascisti furono costretti all’esilio?
Perché durante il ventennio l’opposizione, assolutamente minoritaria, da parte di ecclesiastici e laici cattolici fu mormorata nelle sacrestie, consegnata agli scritti personali, manifestata nelle conversazioni private, o in qualche riunione di gruppo, e non divenne mai presa di posizione pubblica?
Né davanti alla barbara invasione dell’Etiopia, né davanti alle leggi razziali antiebraiche che rovinarono e distrussero innumerevoli vite di innocenti, né davanti alla vigliacca aggressione alla Francia sconfitta che segnò il nostro ingresso nella guerra mondiale nazista, coi campi di sterminio, i 60 milioni di morti e le immani distruzioni?
Domande antiche, sulle quali, però, è necessario tornare perché non sono state ancora affrontate come dovrebbero.
E questo fa sì che sul fascismo, il neofascismo, il razzismo di ieri e di oggi, le atrocità coloniali, il disprezzo di ieri e di oggi di gruppi etnici e popoli e di singole persone, private del diritto al rispetto della propria dignità, gli italiani e i cattolici non abbiamo ancora fatto una scelta di campo chiara e irreversibile.
Ho un sogno, per quanto vale la mia opinione: che in vista del centesimo anniversario della Marcia su Roma, il 22 ottobre dell’anno prossimo, che segnò l’inizio della presa del potere da parte del fascismo, si apra nella società italiana e nella Chiesa – a partire dalla Conferenza episcopale italiana e dalle Chiese locali – una seria e sincera riflessione e autocritica su cosa è mancato agli italiani e ai cattolici per impedire che una dittatura così volgare e violenta li dominasse e li addormentasse per vent’anni, e ne fossero largamente e attivamente compartecipi.
Una prima e fondamentale risposta possiamo trovarla nelle parole di don Giovanni Minzoni, sacerdote ravennate, organizzatore di opere sociali, aderente al Partito popolare, antifascista prima e dopo la Marcia su Roma, assassinato a 38 anni dai fascisti il 23 agosto 1923.
Nell’anno in cui fu ordinato sacerdote, il 1909, scriveva nel suo diario, il 17 aprile:
Fatte le debite eccezioni, abbiamo avuto per compito di allevare dei giovani sottomessi, incapaci di fare del male, ma nel medesimo tempo inetti a fare del bene; abbiamo cercato in qualsiasi modo di spegnere e soffocare, con gravissimo danno, le loro giovanili passioni, anziché dirigere ed educare queste forze vergini a formare delle anime forti e attive, delle anime rotte alla vita, capaci di tutto, anche delle ribellioni, piuttosto che venire meno alla loro coscienza.
Gli eroici obiettori al nazifascismo, come Josef Mayr-Nusser, Franz Jägerstätter, i giovani della Rosa Bianca impararono a non venir meno alla loro coscienza non dalla Chiesa, ma da alcuni pochi pensatori del tempo o testimoni di ieri, come Tommaso Moro, l’uomo di Stato martire e santo che preferì obbedire alla propria coscienza piuttosto che al re e alla Chiesa d’Inghilterra.
Durante tutto il fascismo don Minzoni non venne mai ricordato, nemmeno dalla sua Chiesa di Ravenna. Il richiamo alla coscienza era pericoloso.
E oggi, stiamo formando coscienze libere, di cittadini e cristiani, che si sentono interrogate e spinte a intervenire, qualsiasi sia l’opinione dominante nella società e nel proprio gruppo, di fronte alle disumanità vicine e lontane?
Stando alle reazioni di fronte ai migranti che muoiono in mare perché non li soccorriamo vien da dire che le coscienze libere sono poche e quelle che si adeguano alle opinioni dominanti, che invitano a chiudere gli occhi di fronte ai perseguitati e agli infelici, troppe.
E si pensa che la libertà di coscienza sia fare quello che piace e non fare quello che non piace. Non rispondere a un appello interiore esigente che ci chiede di decidere per la verità e il bene, non per la menzogna e il male. E che viene prima di ogni altro appello, fosse anche una legge dello Stato o della Chiesa.
Credo davvero che sia più che mai necessaria una seria riflessione e autocritica sul ventennio fascista. Ci aiuterebbe ad aprire gli occhi sul passato, ma anche sul presente.
Editoriale pubblicato sul settimanale diocesano “Vita trentina” uscito giovedì 29 aprile 2021, data di testa domenica 2 maggio 2021.