Valori umani, non solo medaglie d’oro

Eseosa Fausto Desalù (foto repubblica.it)

“Mia madre mi ha insegnato a rispettare  le regole. Si vive con le leggi che ci sono, servono a tenere viva una società e io non mi metto a giudicarle, però posso dire che per un bimbo italiano, nato qui, cresciuto qui è doloroso essere messo in pausa. Io aspettavo i 18 anni come il primo dei miei tanti traguardi, altri possono vivere quel limite come una esclusione”.

Così racconta a “Repubblica” (8 agosto 2021), Eseosa Fausto Desalù, uno dei quattro italiani che hanno vinto la storica medaglia d’oro olimpica nella staffetta quattro per cento sulla pista di atletica di Tokyo. Parla un italiano eccellente. Merito anche dei tanti libri che ha letto, anzi divorato, e che gli amici della comunità di Casalmaggiore, tra Cremona e Parma, gli hanno dato.

Veronica, madre di “Faustino”, come lo chiama, fa la badante e il giorno in cui suo figlio ha vinto insieme ai tre compagni quella incredibile medaglia d’oro, che mai l’Italia aveva vinto, non è potuta andare in televisione, come tutte le altre mamme, perché doveva assistere una persona anziana. Racconta a Claudio del Frate del “Corriere della sera” (8 agosto 2021):

“Sono venuta in Italia al seguito di mio marito, che cercava una vita migliore per tutti noi. Avevo già una figlia, che oggi ha 31 anni e vive in Africa, qui è nato Fausto ma due anni dopo suo padre ci ha mollati tutti di colpo ed è tornato in Nigeria. Sono stati momenti difficili”.

“Ho raccolto pomodori, lavorato nei caseifici come operaia e ancora in una casa di riposo”.

Veronica Desalù (foto corriere.it)

“A Fausto ho innanzitutto insegnato il rispetto, siamo stranieri, immigrati in un’altra terra. E poi gli ho fatto capire che si possono spendere solo i soldi che guadagna, che le scarpe si cambiano solo quando quelle vecchie si rompono”.

 

Gli immigrati sanno portare in Italia non solo braccia, sudore, sacrifici, non solo talento e medaglie d’oro. Ma anche umanità, dignità, valori umani e civili di cui abbiamo non meno bisogno.
Lo ius soli, o lo ius culturae, la cittadinanza riconosciuta, senza farli attendere 18 anni, ai bambini nati qui figli di genitori stranieri è un atto di civiltà di cui hanno bisogno loro, ma di cui abbiamo bisogno anche noi. Per dirci civili.