Non ci sono solo le violazioni dei diritti umani in Afghanistan da parte dei talebani.
Il genocidio degli uiguri, perpetrato dalla Cina a partire dal 2014 con l’arrivo al potere di Xi Jinping, è un gigantesco crimine contro l’umanità sul quale l’opinione pubblica mondiale è più restia ad emozionarsi e a mobilitarsi.
Gli Stati Uniti, seguiti dall’Unione Europea e da altri Paesi, hanno messo in atto sanzioni economiche contro la Cina per il genocidio degli uiguri. Ma occorre una più forte mobilitazione degli Stati, degli organi di informazione, dei movimenti pacifisti, per i diritti umani e la libertà religiosa per fermare questo gigantesco crimine.
Attaccare o anche solo criticare il colosso cinese è molto più difficile che non i talebani. Ma il genocidio che sta avvenendo sotto i nostri occhi è uno dei crimini più efferati degli ultimi decenni.
Gli uiguri sono una grossa minoranza musulmana della provincia dello Xinjiang, nel Nord-Ovest della Cina.
La persecuzione nei loro confronti si è accentuata enormemente con l’arrivo al potere, nel 2014, di Xi Jinping, l’attuale leader cinese.
Quest’anno il Premio Pulitzer, il più prestigioso premio statunitense al giornalismo, è stato vinto dal sito BuzzFeedNews e dall’architetto britannico Alison Killing.
Utilizzando sofisticate tecniche di analisi satellitari delle strutture architettoniche, e importanti interviste, hanno rivelato, attraverso una serie di reportage pubblicati tra l’agosto e il dicembre 2020, l’esistenza nello Xinjiang di 268 campi di concentramento dove sono internati gli uiguri e altre minoranze religiose.
In una intervista di Gianni Vernetti (pubblicata su repubblica.it del 30 luglio 2021) a Dolkun Isa, 56 anni, presidente del World Uyghur Congress, l’associazione degli uiguri fuggiti all’estero, si ripercorrono i momenti e gli aspetti principali di questa immane repressione.
Questi i contenuti salienti dell’intervista:
– sono 3 milioni circa le persone appartenenti a minoranze etnico-religiose (uiguri in primo luogo) detenute nei campi di concentramento per essere “rieducate”, secondo la cinica espressione del governo cinese;
– con la scusa della lotta al terrorismo sono state attuate incarcerazioni di massa, è stato proibito il digiuno del ramadan, le telefonate internazionali possono portare in carcere, si utilizzano le nuove tecnologie digitali (riconoscimento facciale e vocale ecc.) per una spietata repressione poliziesca;
– dal 2017 al 2021 sono state distrutte 8.000 moschee per sradicare l’identità religiosa e culurale di un intero popolo;
– nello Xinjiang si produce l’80% del cotone cinese (il 22% della produzione mondiale) grazie al lavoro forzato di 580 mila uiguri;
– la Lega Araba e molti Paesi musulmani non hanno mai protestato contro il genocidio uiguri; anzi, l’Arabia Saudita e il Pakistan hanno difeso la Cina che ha negato il genocidio degli uiguri al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.
È necessario che ci sia una vasta e continua mobilitazione internazionale di denuncia di questo crimine perpetrato dalla Cina contro il popolo uiguro.
Le pressioni degli Stati e dell’opinione pubblica internazionale hanno sempre una enorme importanza.
Il silenzio è sempre una legittimazione e anche una autorizzazione a intensificare le persecuzioni.