Quello che si temeva è arrivato. La censura del regime di Putin ha costretto la “Novaja Gazeta” a chiudere. Il glorioso giornale diretto da Dmitry Muratov, premio Nobel per la pace 2021, e sul quale scriveva i suoi memorabili reportage Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006, era ormai l’unica grande voce libera rimasta nel Paese. Ecco due articoli della stampa nazionale e intrenazionale che raccontano la drammatica chiusura dell’ultima voce libera in Russia.
«Le persone fanno la fila davanti alla nostra redazione e comprano 100, perfino 200 copie ciascuno, per distribuirle poi ovunque, perché le edicole hanno rinunciato a vendere Novaya Gazeta. Temono rappresaglie» aveva detto Dmitry Muratov a Wiktoria Bieliaszyn in un’intervista pubblicata sulla polacca “Gazeta Wyborcza”, su “la Repubblica” e altri quotidiani il 19 marzo 2022 (leggila su questo blog). Leggi su questo blog anche il bellissimo discorso di Muratov pronunciato in occasione del ricevimento del premio Nobel per la pace 2021. Leggi qui anche il profilo di Anna Politkovskaja tratto dal nostro libro “Tracce nella nebbia. Cento storie di testimoni“.
Ecco come Anna Zafesova su “La Stampa” e Pierre Haski su “France Inter” (ripreso da “Internazionale”) raccontano la drammatica chiusura dell’ultima voce libera in Russia.
Chiude la Novaya Gazeta muore la libertà di stampa
di Anna Zafesova, La Stampa, 29 marzo 2022
La morte definitiva della libertà di stampa in Russia, annunciata tante volte, è stata certificata a mezzogiorno di ieri, ora di Mosca, quando la Novaya Gazeta ha annunciato di sospendere la pubblicazione. «Abbiamo ricevuto un altro ammonimento dal Comitato russo per la vigilanza (Roskomnadzor). Di conseguenza sospendiamo la pubblicazione sul sito, nei social network e su carta, fino alla conclusione della “operazione militare speciale“ in Ucraina. Con rispetto, la redazione».
Poche righe di necrologio, per chiudere una delle pagine più ricche e tragiche del giornalismo libero in Russia, una testata che ha raccontato ventinove anni di storia russa.
Migliaia di articoli, centinaia di inchieste e reportage, scritti anche con il sangue di otto giornalisti e collaboratori uccisi, una costellazione di firme di prima grandezza tra cui la più celebre resta quella di Anna Politkovskaya, la prima martire di quella “Russia di Putin” alla quale aveva dedicato il suo libro più famoso.
Un giornale nato nel 1993 grazie ai soldi del premio Nobel di Mikhail Gorbaciov, l’uomo che aveva dato inizio alla demolizione del totalitarismo sovietico aprendo alla libertà di stampa, che decide di autocensurarsi, e se ne va spegnendo la luce su quella che da ieri è definitivamente una dittatura militare.
Il Nobel per la pace, vinto dal direttore Dmitry Muratov appena sei mesi fa, è riuscito a proteggere la Novaya Gazeta un po’ più a lungo delle altre testate, schiacciate già due settimane fa. Il giornale di opposizione più celebre della Russia è durato 34 giorni di guerra, «i più tragici della nostra storia», scrive Muratov in una mail inviata ad amici e sostenitori.
Mentre il governo chiudeva uno dopo l’altro siti, giornali, televisioni e radio, il team della Novaya ha deciso di proseguire a lavorare, seppure sotto censura: il 96% dei lettori ha votato per non sospendere la pubblicazione.
Il giornale è uscito con copertine censurate e ha accettato di non scrivere la parola “guerra“, per la quale in Russia si viene puniti oggi in base all’articolo sul «discredito delle forze armate». Gli articoli avevano assunto una forma surreale, per esempio, «le conseguenze di (parola proibita dal governo) saranno pesanti».
I giornalisti avevano cercato di non pubblicare notizie dal fronte. Muratov aveva addirittura deciso di non partecipare personalmente alla videointervista che Volodymyr Zelensky aveva concesso a quattro giornalisti di opposizione russi. Si era limitato a trasmettere una domanda.
È stato sufficiente: ieri il Roskomnadzor ha ammonito il giornale, per la seconda volta in un anno, per un errore formale, l’aver omesso la dicitura obbligatoria «agente straniero» accanto al nome di una delle Ong o testate già finite nelle liste di proscrizione del Cremlino. Due ammonimenti, secondo la legge russa, rendono possibile la revoca della licenza di un media.
Muratov ha preferito non aspettare: «Non abbiamo altra scelta», ha spiegato. Forse, voleva evitare ai suoi colleghi un’incriminazione formale. Forse, aveva ricevuto dal Cremlino – continuava ad avere ottimi contatti in alcune delle sue stanze – un avvertimento che non si poteva ignorare. «Una decisione terribile e difficile, ma l’importante è conservarci incolumi».
È la fine di tre decenni gloriosi.
I reportage dal fronte ceceno che avevano trasformato Anna Politkovskaya nella principale teste di accusa dei crimini dei militari russi contro i civili.
Le indagini sulla corruzione di oligarchi e ministri, di Eltsin e di Putin. Le denunce di torture della polizia. Le inchieste sui nazionalisti estremisti e le loro complicità altolocate. La rivelazione della persecuzione dei gay in Cecenia. La verità sulla catastrofe del Covid in Russia. Infine, negli ultimi giorni, gli strazianti e crudeli reportage di Elena Kostiuchenko, forse la vera erede di Politkovskaya, dalle città ucraine bombardate dall’esercito russo.
E poi i migliori critici televisivi e cinematografici, gli opinionisti più graffianti, i letterati più famosi e irriverenti: tutto questo oggi appartiene al passato.
Il direttore promette ai lettori «un nuovo incontro», e torna a chiamare la «parola proibita dal governo» con il suo nome: «Come è possibile che il nostro popolo abbia potuto permettere di aprire ben due guerre, quella di occupazione in Ucraina e quella quasi civile in Russia». Una domanda sulla quale in Russia non è più lecito interrogarsi.
Con la Novaja Gazeta si spegne l’ultima voce indipendente in Russia
www.internazionale.it
Lo scorso dicembre Dmitrij Muratov, direttore del quotidiano russo Novaja Gazeta, ha ricevuto a Oslo il premio Nobel per la pace 2021, condiviso con la sua collega filippina Maria Ressa.
Il 28 marzo, con la morte nel cuore, Muratov ha annunciato la sospensione della pubblicazione del suo giornale fino alla fine della guerra in Ucraina. Il giornalista aveva appena ricevuto un secondo avvertimento dalle autorità e ha preferito chiudere temporaneamente piuttosto che vedersi ritirare la licenza.
È una tragedia per la Russia, che perde la sua ultima fonte di informazioni indipendente in un momento in cui queste risorse, nella nebbia della guerra, sono ancora più importanti. Questo è l’obiettivo di Vladimir Putin: fare in modo che i 140 milioni di russi abbiano accesso a un’unica fonte di informazioni, la sua.
Dall’inizio della guerra altre testate importanti hanno chiuso i battenti, a cominciare dalla radio Eco di Mosca, nata durante la glasnost, il periodo di apertura voluto da Gorbačëv, e l’emittente televisiva privata Dožd, la cui esistenza era un miracolo in un universo controllato dal potere.
Morsa sempre più stretta
Da tempo i mezzi d’informazione indipendenti incontrano grandi difficoltà in Russia. La Novaja Gazeta era il giornale di Anna Politkovskaja, la giornalista assassinata nel 2006 a Mosca dopo essersi occupata della guerra in Cecenia. Sono passati sedici anni da quel giorno. Nel frattempo altri quattro giornalisti della Novaja Gazeta sono stati uccisi.
Negli ultimi anni la morsa si è stretta sempre di più, in particolare dopo l’adozione nel 2020 di una legge che definisce “agenti stranieri” tutti i mezzi di comunicazione e tutte le ong che ricevono il minimo sostegno internazionale.
Un sito indipendente come Meduza, che stava cominciando ad avere una certa importanza, ha dovuto mandare in esilio la redazione in Lettonia, mentre il sito economico VTimes è stato costretto a chiudere nel 2021.
L’invasione dell’Ucraina ha dato il colpo di grazia ai mezzi d’informazione indipendenti, perché ora per Putin la posta in gioco nell’informazione è enorme.
Novaja Gazeta aveva provato a testare i limiti. Il 24 febbraio, primo giorno di guerra, il giornale aveva pubblicato un’edizione bilingue, in russo e ucraino. Nell’ultimo fine settimana il direttore aveva partecipato all’intervista in videoconferenza con il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj realizzata da alcuni giornalisti russi, quasi tutti in esilio. Mosca gli ha impedito di pubblicarla.
A dicembre, in occasione della cerimonia del Nobel, Muratov aveva lanciato un allarme premonitorio: “Gli ideologi di oggi promuovono l’idea della morte per la patria e non della vita per la patria. Non lasciamo che la loro televisione ci inganni ancora. La guerra ibrida distrugge i rapporti tra la Russia e l’Ucraina, e non so se le prossime generazioni riusciranno a ripristinarli. Inoltre, nella mente malata dei geopolitici, la guerra tra Russia e Ucraina ha smesso di sembrare impossibile”.
Questa è la voce che Putin ha messo a tacere. Nei regimi totalitari non c’è più posto per la verità.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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