Il nostro 25 aprile con la Resistenza del popolo ucraino

Il nostro 25 aprile sarà quest’anno con la Resistenza ucraina, insieme a Liliana Segre, testimone della Shoah e senatrice a vita, insieme a Albertina Soliani, cattolico-democratica e vicepresidente dell’Anpi, e contro l’aggressore Putin, capo del neofascismo mondiale, e i suoi massacri di innocenti in Ucraina, e contro il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo e le sue vergognose posizioni filo Putin. Ma anche contro i tanti Ponzio Pilato equidistanti e a quei pacifisti che tradiscono il diritto dei popoli alla libertà e alla resistenza di fronte all’aggressore. Come diceva Gandhi, che sapeva cosa voleva dire sentirsi responsabili del proprio popolo e non solo dei propri principi:

 

«Ho ripetuto infinite volte che chi non sappia proteggere se stesso o i propri vicini e cari o il loro onore affrontando in modo non-violento la morte, può e dovrebbe farlo affrontando con violenza l’oppressore.

Chi non sappia fare né una cosa né l’altra è un peso. Non è degno di essere il capo di una famiglia. Dovrebbe o nascondersi o accontentarsi di vivere in perpetua impotenza, pronto a strisciare come un verme agli ordini di un prepotente.»

 

E ancora Gandhi, per ricordare a chi lo cita senza averlo letto cosa lui ha veramente detto:

«Credo che nel caso che l’unica scelta possibile fosse quella tra la codardia e la violenza, io consiglierei la violenza. Ad esempio quando mio figlio maggiore mi chiese quello che avrei dovuto fare se fosse stato presente quando nel 1908 fui aggredito e quasi ucciso, se avesse dovuto fuggire e vedermi uccidere oppure avesse dovuto usare la sua forza fisica, come avrebbe potuto e voluto, e difendermi, io risposi che sarebbe stato suo diritto di difendermi anche facendo ricorso alla violenza.

In base a questo stesso principio ho partecipato alla guerra contro i boeri, alla cosiddetta ribellione degli zulù e all’ultima guerra. E sempre per questo stesso principio mi sono dichiarato favorevole all’addestramento militare di coloro che credono nel metodo della violenza. Preferirei che l’India ricorresse alle armi per difendere il suo onore piuttosto che, in modo codardo, divenisse o rimanesse testimone impotente del proprio disonore.

Tuttavia sono convinto che la non-violenza è infinitamente superiore alla violenza, che il perdono è cosa più virile della punizione. La clemenza nobilita il soldato. Ma si ha vera clemenza soltanto quando esiste il potere di punizione; essa è priva di senso quando proviene da una creatura impotente. È difficile che un topo perdoni un gatto mentre viene fatto a pezzi da questo. » (“Young India”, 11 agosto 1920)

 

In nome della resistenza gandhiana alla violenza dell’aggressore, e non di un pacifismo della viltà che lascia che l’aggressore pratichi indisturbato la sua violenza contro l’aggredito, siamo in questo 25 aprile con la Resistenza ucraina.