«Quando sei lì dentro — sottolinea Fabrizio Mandreoli, coordinatore del progetto — certi discorsi e certe riflessioni si affinano e si arricchiscono, soprattutto in campo teologico». E ricorda un’altra esperienza: «Insegnanti e volontari hanno organizzato un corso scolastico sulla Costituzione italiana e i detenuti hanno redatto una loro Carta ideale. Non a caso quel progetto, raccontato in un documentario, si chiamava Dustur, cioè Costituzione in arabo, perché era molto partecipato da ragazzi provenienti da Paesi di lingua araba e religione islamica. Fu una grande occasione di dialogo tra culture e religioni, che affrontava anche i nodi del radicalismo religioso» (di Giampiero Rossi, “Corriere della sera”)
La teologia rinasce dietro le sbarre
di Giampiero Rossi
da”La lettura”, supplemento del “Corriere della sera”, 27 novembre 2022
Un corso di laurea in Teologia in un carcere. Ancora non c’è, ma potrebbe partire già con il prossimo anno accademico all’interno della casa circondariale «Rocco D’Amato» di Bologna. Questione di dettagli, di definizione di un protocollo, di una convenzione.
Ma cosa conduce un istituto ecclesiastico come la Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna, che discende da una Bolla firmata nel 1360 da Papa Innocenzo VI in un ambiente ruvido come la Dozza?
Come nasce un corso di laurea in Teologia in una sovraffollata babele di lingue e religioni?
Si potrebbe dire «a grande richiesta», ma dal ventre di un carcere, spiega chi lo frequenta, parlare del Mistero, dell’umanità che si interroga sul Divino non può tradursi in una «richiesta» ma piuttosto prende la forma di una ricorrente Domanda.
«In effetti è un percorso che nasce dai primi anni Duemila — racconta Fabrizio Mandreoli, docente di Teologia fondamentale tra Bologna e Firenze e coordinatore del progetto — quando, nell’ambito del corso di Scienze politiche, Pier Cesare Bori ha stimolato una serie di riflessioni su temi teologici, spirituali, mistica. Fu una bella esperienza, molto partecipata. Per alcune persone si è poi rivelata determinante: vissero quella che viene definita life changing experience».
Mandreoli conosce bene il carcere, perché prima di entrarvi come insegnante lo ha frequentato per una ventina d’anni da volontario. «Quando sei lì dentro — sottolinea — certi discorsi e certe riflessioni si affinano e si arricchiscono, soprattutto in campo teologico».
E ricorda un’altra esperienza: «Insegnanti e volontari hanno organizzato un corso scolastico sulla Costituzione italiana e i detenuti hanno redatto una loro Carta ideale. Non a caso quel progetto, raccontato in un documentario, si chiamava Dustur, cioè Costituzione in arabo, perché era molto partecipato da ragazzi provenienti da Paesi di lingua araba e religione islamica. Fu una grande occasione di dialogo tra culture e religioni, che affrontava anche i nodi del radicalismo religioso».
Interrogativi che non smettono di aleggiare nell’aria viziata delle celle, soprattutto per chi deve fare i conti con pene molto lunghe. «Abbiamo continuato a intercettare grandi domande filosofiche, quelle che impongono sconfinamenti nelle scienze religiose, un bisogno di riflessioni alte».
Così, nel 2021, la Dozza ospita un primo corso su discipline teologiche, costellato di seminari e gruppi di lavoro interireligiosi che mette a confronto capitoli fondamentali del cristianesimo cattolico e ortodosso, dell’islam e anche sullo sguardo dei non credenti.
Non è inserito in un percorso di laurea, ma «di nuovo sono nate riflessioni importanti su temi come la giustizia, l’infrazione e la riparazione con modalità che parlano direttamente alla vita sociale di “fuori” — racconta Fabrizio Mandreoli —, insomma la composizione progressiva di un mondo comune maturata in un contesto potentemente interreligioso».
A quel punto l’idea di convogliare tutto in un contenitore strutturato e di livello accademico si fa ancora più forte: un corso di laurea in Scienze religiose. «Siamo in fase di definizione della convenzione con la direzione della casa circondariale — spiega il coordinatore del progetto — anche perché credo si tratti della prima esperienza di questo tipo all’interno di un carcere».
L’idea è quella di aprire anche ad alcuni studenti esterni, sia in veste di tutor sia come partecipanti ai corsi e ai seminari, ma gli utenti principali saranno i detenuti, «le persone in cerca di senso e di riscatto e che vogliono affrontare il loro senso di sconfitta e i loro desideri di ripresa e ricostruzione».
Un progetto che piace molto al cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna dal 2015 e da maggio presidente della Cei: «Sono molto contento di questo dialogo tra la ricerca teologica e il mondo del carcere. Significa che il pensiero sulla fede cristiana risponde anche alle domande di spiritualità di chi è detenuto. Un progetto come quello che sta per nascere alla Dozza fa bene alla teologia perché la porta più vicino agli interrogativi reali delle persone. Questa iniziativa avvicina la teologia alla vita e la vita alla teologia perché in carcere c’è tanta “vita”, e la riflessione teologica aiuta a “tarare” di nuovo una persona, anche quella che ha sbagliato. Le relazioni con gli altri vengono rovinate dal male che si è compiuto, e di cui si pagano le conseguenze con la reclusione: la teologia può rispondere alle domande grandi che ci si pone quando si vive questa condizione di vita, e dunque in definitiva a ritrovare sé stessi. Inoltre, un’iniziativa come questa, in particolare, risponde a un desiderio che in tanti abbiamo quando si parla di carcere, quello che riguarda la costruzione di un futuro possibile anche per chi ha sbagliato».