«“Nessun aiuto mi è stato dato”, disse al Csm. Nessun collega si era prestato ad affiancarlo, né il capo della Procura di Roma, Giovanni Di Matteo, aveva ritenuto di nominarne uno d’ufficio.
Amato era solo e indifeso, esposto ai continui attacchi della stampa e degli avvocati legati alla destra, e alla guerra che gli faceva il collega Aliprandi, padre di un terrorista neofascista. L’inchiesta era costata la vita, quattro anni prima, a un altro coraggioso giudice, Vittorio Occorsio, 47 anni, sposato e padre di due figli, ucciso dal neofascista Pier Luigi Concutelli. Amato stava ricostruendo la rete del terrorismo nero…»
Mario Amato
lasciato solo contro il terrorismo nero
di Vincenzo Passerini
testo tratto dal libro “Tracce nella nebbia. Cento storie di testimoni”
Il figlio Sergio aveva allora sei anni e ha il vivo ricordo di lui che lavora nello studio di casa, la sera, tra le carte e con la cuffia per sbobinare intercettazioni. Avrebbero giocato volentieri assieme.
Il giudice Mario Amato era un padre affettuoso, ma era stato lasciato solo a indagare sul terrorismo neofascista a Roma e nel Lazio. “Un lavoro massacrante”, disse al Consiglio Superiore della Magistratura che lo ascoltò il 25 marzo e poi il 13 giugno1980, dieci giorni prima che fosse assassinato.
In più, doveva condurre 600 processi per i reati più vari. Tanto si voleva che avesse tempo per i terroristi neofascisti. “Nessun aiuto mi è stato dato”, disse al Csm. Nessun collega si era prestato ad affiancarlo, né il capo della Procura di Roma, Giovanni Di Matteo, aveva ritenuto di nominarne uno d’ufficio.
Amato era solo e indifeso, esposto ai continui attacchi della stampa e degli avvocati legati alla destra, e alla guerra che gli faceva il collega Aliprandi, padre di un terrorista neofascista.
L’inchiesta era costata la vita, quattro anni prima, a un altro coraggioso giudice, Vittorio Occorsio, 47 anni, sposato e padre di due figli, ucciso dal neofascista Pier Luigi Concutelli.
Amato stava ricostruendo la rete del terrorismo nero che aveva protettori e complici nelle istituzioni e legami con la Banda della Magliana, la massoneria, il mondo degli affari.
Stagione terribile. La loggia massonica P2 occupava a fini eversivi mezzo Stato, e il terrorismo nero e rosso seminava morte. In quel 1980, il 27 giugno, ci fu la strage di Ustica, 81 vittime, e il 2 agosto quella alla stazione di Bologna, 85 vittime.
I neofascisti che misero le bombe a Bologna erano anche gli assassini di Amato.
Lo uccisero poche settimane prima, il 23 giugno, mentre aspettava, indifeso, l’autobus.
Temevano, con tutta probabilità, che le sue indagini finissero per compromettere la progettata strage. Gilberto Cavallini gli sparò e fuggì sulla moto guidata da Luigi Civardini. Valerio Fioravanti e Francesca Mambro avevano ideato l’assassinio.
Amato, nato a Palermo il 29 novembre 1937, figlio di Sara e Salvatore e fratello di Guido e Aldo, si era trasferito a Roma con la famiglia negli anni Sessanta. Si era sposato con Giuliana Mesa nel 1967 e l’anno dopo era nata Cristina.
Vinto il concorso in magistratura nel ’70, l’anno seguente era diventato sostituto Procuratore a Rovereto, in Trentino, dove portò la famiglia e dove, nel ’73, nacque Sergio.
Alla Procura di Roma arrivò nel ’77. Qui mostrò tutto il suo valore di integerrimo servitore della Repubblica, devastata da assassini, vigliacchi e traditori.
Rovereto, dove ha lasciato un gran bel ricordo, gli ha dedicato l’aula delle udienze del tribunale e una
via adiacente al Palazzo di giustizia.