«Nel processo “Perfido” [la ‘ndrangheta nel settore del porfido trentino] sono coinvolti anche imprenditori e politici trentini. La mafia ha bisogno di sponde e le trova se non c’è un netto rifiuto della corruzione. Che non succeda in Trentino quello che è accaduto in Lombardia. Che conta, è scritto nella relazione della Dia, 25 locali (chiamiamole “sezioni”) della ‘ndrangehta (in Piemonte sono 16, in Veneto 3, in Valle d’Aosta 1, in Trentino 1, per quanto riguarda il Nord).
Le mafie si sono radicate grazie alla sottovalutazione del fenomeno e alla disponibilità di imprenditori e politici alla corruzione. Ma anche alla mancanza di reazione da parte della società. Si veda l’amara intervista ad “Avvenire” di Alessandra Dolci, coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano» (Vincenzo Passerini)
Attenti agli sciacalli delle mafie
di Vincenzo Passerini
Editoriale sul settimanale diocesano “Vita trentina” uscito il 2 giugno 2023 (data di testata domenica 4 giugno 2023)
Gli allarmi si fanno sempre più insistenti. Trentini, state attenti. Giusto discutere di orsi, lupi e cinghiali. Ma state attenti anche agli sciacalli e agli avvoltoi. Chiamateli anche iene. Mafiosi, usurai, trafficanti di droga, riciclatori di denaro sporco. Sono sempre più invadenti. E pericolosi. Avvelenano il nostro ambiente. Lo rendono sempre più insicuro.
Il processo “Perfido” sull’ndrangheta nel porfido e altre clamorose inchieste, anche di questi giorni, lo dimostrano.
Ma si ha la sensazione che, al di là di alcune forti voci, prime fra tutte quella del coraggioso Coordinamento Lavoro Porfido di Lona Lases (animato da Vigilio Valentini e Walter Ferrari), il Trentino sia tiepido. Se non indifferente.
Qualcuno si da da fare con azioni educative, come l’Istituto “Martino Martini” di Mezzolombardo (vedi l’articolo di Giovanni Melchiori su “Vita Trentina” del 21 maggio scorso). Un gran bell’esempio. E le altre scuole? E la politica? Poche le voci.
Adesso il processo “Perfido”, in corso presso la Corte d’Assise di Trento, sta entrando nella fase finale. Entro luglio ci sarà la sentenza di primo grado.
Nella relazione semestrale della Dia (Direzione investigativa antimafia), relativa al primo semestre 2022, trasmessa dal ministro Piantedosi al Parlamento il 25 marzo scorso, si scrive, e suona come un campanello di allarme: “È nota la tendenza delle organizzazioni criminali di tipo mafioso a riciclare e reinvestire capitali di provenienza illecita al di fuori delle aree d’origine, prediligendo i territori dell’Italia settentrionale, caratterizzati da un consolidato tessuto economico e da positivi scambi finanziari.”
È quanto emerso, continua la relazione della Dia, “nell’indagine ‘Perfido’, dell’ottobre 2020, che ha consentito di documentare la presenza della criminalità organizzata calabrese in provincia di Trento”.
Tale sodalizio, si aggiunge, “agendo secondo il modus operandi tipico delle consorterie calabresi, era riuscito a inserirsi nel tessuto economico legale, assumendo inizialmente e grazie anche a solidi rapporti intrattenuti con imprenditori e amministratori pubblici il controllo di aziende operanti nell’estrazione del porfido, estendendo successivamente i propri interessi anche in altri settori commerciali”.
Nella relazione della Dia si ricorda che le indagini svolte nel territorio nazionale documentano “la capacità della criminalità organizzata calabrese di proporsi a imprenditori in crisi di liquidità dapprima come sostegno finanziario subentrando poi negli asset e nelle governance societarie per capitalizzare illecitamente i propri investimenti”.
Nel processo “Perfido” sono coinvolti anche imprenditori e politici trentini. La mafia ha bisogno di sponde e le trova se non c’è un netto rifiuto della corruzione.
Che non succeda in Trentino quello che è accaduto in Lombardia. Che conta, è scritto nella relazione della Dia, 25 locali (chiamiamole “sezioni”) della ‘ndrangehta (in Piemonte sono 16, in Veneto 3, in Valle d’Aosta 1, in Trentino 1, per quanto riguarda il Nord).
Le mafie si sono radicate grazie alla sottovalutazione del fenomeno e alla disponibilità di imprenditori e politici alla corruzione. Ma anche alla mancanza di reazione da parte della società.
La coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Alessandra Dolci, in una intervista ad “Avvenire” del 27 maggio (“Usura, un reato oscuro tra paura e connivenza”), ricorda che la ‘ndrangheta entra sempre più nella gestione di settori economici a bassa intensità tecnologica e ad alta presenza di manodopera. Contando anche sulla crescente propensione delle imprese a esternalizzare parte dei servizi di manodopera.
“La ‘ndrangheta cerca il consenso e l’accettazione”, aggiunge Dolci, come l’emissione di fatture fittizie, “e il consenso sociale è in crescita, con rischi seri e gravi per l’economia. Trovo sorprendente che soggetti che hanno già condanne per appartenenza alla ‘ndrangheta siano considerati dal contesto sociale operatori socio-economici e interlocutori affidabili per fare affari.”
E conclude con amarezza: “Manca veramente il discredito sociale. Allora mi cadono le braccia e dico: è tutto inutile”.
Potremmo allargare alla politica l’amara considerazione. Se continuate a votare i corrotti, di che poi vi lamentate?
E il silenzio. È un dato che nei Comuni sciolti per mafia, pochi avevano segnalato fatti di corruzione. Il silenzio è pericoloso.
In un bell’articolo di Giorgia Cardini sul sito web de “l’Adige” del 24 maggio scorso si segnalavano i dati contenuti nella relazione di un gruppo di lavoro provinciale in materia di sicurezza costituito dalla giunta Dellai nel 2012 e sciolto dalla giunta Fugatti nel 2021.
Relazione mai resa pubblica. “Peccato, però – scrive Cardini – che in quella relazione, che dava conto degli approfondimenti svolti tra il 2019 e il 2021, ci fossero elementi che indicavano chiaramente come la presenza di fenomeni infiltrativi non fosse solo connessa al settore del porfido, e all’inchiesta ‘Perfido’ partita da Lona Lases, ma anche al settore del turismo, ricchissimo e vitale per l’economia trentina”.
In un’indagine svolta tra 951 imprese del settore nel luglio 2019, ben 185 intervistati (il 19,5%), si dice nella relazione, “ha ammesso la presenza di fenomeni di estorsione (pizzo e racket), mentre 110 (l’11,6%) anche l’esistenza della pratica dell’usura”.
Dati davvero allarmanti. Ma nella collettività, si scrive nella relazione, non c’è la percezione della presenza di questa criminalità organizzata.
Se si fa finta di nulla sarà sempre peggio.