«Per quasi due mesi Tetyana non ha saputo più nulla di lui, e quando l’ha ritrovato, grazie alle indagini e alla mobilitazione dei volontari, all’orfanotrofio di Perevalsk, nella parte del Donbass occupata dai russi, era già stato spostato altre due volte. I 13 ragazzini rapiti da Kupyansk erano stati costretti a parlare russo, a indossare uniformi con la Z simbolo della guerra in Ucraina, e a ripetere la propaganda del Cremlino: nei video pubblicati dall’orfanotrofio sul suo sito si vedono i bambini ucraini partecipare alle celebrazioni per l’anniversario dell’invasione del loro Paese e ascoltare proclami di «gratitudine e rispetto» per i soldati russi.»
Mamma coraggio
di Anna Zafesova
“La Stampa”, 1 giugno 2023
Sasha Kraynyuk ha 15 anni ed è ancora sotto choc. Non vuole parlare dei mesi trascorsi in un orfanotrofio russo, e passa ore immerso nel silenzio.
Quando sua madre Tetyana è riuscita a trovarlo, grazie a un filmato propagandistico russo che mostrava bambini ucraini nelle scuole russe, che un suo conoscente ha visto sui social, Sasha è scoppiato a piangere. I responsabili dell’orfanotrofio gli avevano detto che la sua casa era stata distrutta, e temeva che nessuno della sua famiglia sarebbe mai più venuto a cercarlo.
Per recuperarlo, Tetyana ha compiuto un viaggio della disperazione, per andare a riprendere il figlio, fino in Russia, dove è stata trattenuta, interrogata e minacciata dalla polizia politica Fsb.
Ma è felice di essere entrata in territorio nemico, nonostante tutti i rischi: «Temevo che avrebbero portato mio figlio nel profondo della Russia e dato in adozione, non sarei più riuscita a ritrovarlo», ha raccontato alla Bbc.
L’inchiesta della giornalista britannica Sarah Rainsford ha aggiunto nuove testimonianze alle indagini sulla deportazione dei minori ucraini in Russia, attività già costata a Vladimir Putin una incriminazione del Tribunale penale internazionale all’Aja.
Il caso di Sasha è abbastanza tipico: dopo l’invasione russa la sua famiglia era rimasta nei territori occupati nella regione di Kharkiv, e quando la controffensiva ucraina, nel settembre scorso, ha costretto l’esercito di Mosca alla ritirata, nella sua scuola per bambini con esigenze speciali di Kupyansk erano piombati i militari.
Erano armati, il volto coperto dai passamontagna, e urlavano di fare presto: «Ero molto spaventato», ha raccontato Sasha ai giornalisti.
Per quasi due mesi Tetyana non ha saputo più nulla di lui, e quando l’ha ritrovato, grazie alle indagini e alla mobilitazione dei volontari, all’orfanotrofio di Perevalsk, nella parte del Donbass occupata dai russi, era già stato spostato altre due volte.
I 13 ragazzini rapiti da Kupyansk erano stati costretti a parlare russo, a indossare uniformi con la Z simbolo della guerra in Ucraina, e a ripetere la propaganda del Cremlino: nei video pubblicati dall’orfanotrofio sul suo sito si vedono i bambini ucraini partecipare alle celebrazioni per l’anniversario dell’invasione del loro Paese e ascoltare proclami di «gratitudine e rispetto» per i soldati russi.
Sasha ora è al sicuro in Germania – la sua città è stata liberata, ma è ancora troppo pericolosamente vicina alla linea del fronte – e sta aiutando gli investigatori a identificare i ragazzini ucraini catturati insieme a lui e ancora nelle mani dei russi.
Almeno cinque dei suoi compagni di scuola, tra cui il quindicenne Artyom e i dodicenni Sofia e Mikita, si trovano ancora a Perevalsk, dove vengono «russificati».
La direttrice dell’orfanotrofio, interrogata dai giornalisti della Bbc, sostiene falsamente che nessuno è venuto a cercare questi bambini, e comunque si dichiara disponibile a consegnarli soltanto di persona ai genitori.
Molti dei 19 mila minori che l’Ucraina dichiara siano stati deportati dai russi provengono però da istituti per bambini con esigenze speciali, o da famiglie disagiate, i genitori di altri sono rimasti uccisi o sono stati costretti a fuggire dalla guerra, e non tutti hanno la possibilità di raccogliere le carte necessarie, e di affrontare il faticoso e pericoloso viaggio in Russia a recuperare i loro figli.
Alla Yatsenyuk, che da Kherson è andata nella Crimea occupata insieme ad altre ucraine, per tornare con il suo Danylo, racconta la missione come un inferno: «Siamo state trattate come bestie, niente cibo né acqua, e interrogate di continuo».
Una delle donne, la 64enne Olha Kotova, ha avuto un infarto lungo la strada: ora la ong Save Ukraine cerca di riportare in patria sua nipote, che era andata a salvare, insieme alle sue ceneri.
La giustificazione ufficiale fornita dalle autorità russe è «umanitaria»: i minori ucraini sarebbero stati «portati al sicuro», dice la commissaria per i diritti dei bambini Maria Lvova-Belova, che ha «adottato» un adolescente di Mariupol nonostante avesse dei familiari in Ucraina, e ora è incriminata insieme al presidente russo per le deportazioni.
Danylo Yatsenyuk è uno dei ragazzini portati dai russi in un campo estivo dove sono stati trattenuti per mesi, e racconta che gli ucraini venivano «trattati come dei russi», e a molti di loro veniva raccontato che non torneranno mai in patria. Partecipa ancora alla chat dei suoi compagni di prigionia, che di recente gli hanno inviato le foto della loro nuova sistemazione, una stanza piena di brande in un collegio da qualche parte in Russia, sempre più lontano dall’Ucraina.