«A Kobane, nella città curda al confine con la Turchia, che ricordiamo per l’eroica resistenza contro l’Isis in uno dei più sanguinosi assedi durante la guerra civile, Mohammed Mohammed, di 48 anni, gommista, aspetta invano notizie di suo figlio Diyar di 15 anni. Voleva andare in Germania, con 4 amici, pure dispersi, dove vive lo zio, il fratello di Mohammed. “Qui la situazione è terribile”, dice alla France Presse. Ogni tanto la Turchia bombarda. C’erano 35 siriani curdi, provenienti da quella zona del Nord del Paese, sul peschereccio naufragato. “Le persone stavano scappando dalla morte, ma hanno trovato la morte” dice Mohammed. Potevano essere salvate. E invece sono state abbandonate.» (Vincenzo Passerini)
Il peschereccio di Pyols, i volti dispersi
di Vincenzo Passerini
(Dal settimanale diocesano “Vita trentina”, uscito il 29 giugno 2023, data di testata domenica 2 luglio 2023)
Sperava di trovare un lavoro in Europa per pagare il costoso trapianto di midollo osseo per suo figlio Khaled, di 13 anni, malato di leucemia. Ma Taher al-Rahal, 39 anni, siriano, è scomparso nel naufragio del peschereccio egiziano, che trasportava 750 migranti, avvenuto tra il 13 e il 14 giugno al largo di Pylos, nella regione greca del Peloponneso.
Una delle più spaventose tragedie del Mediterraneo. I salvati sono 104, i corpi finora recuperati 81, i dispersi probabilmente più di 500. Tra di loro 100 bambini.
Un naufragio che si poteva evitare. Si doveva evitare.
L’imbarcazione stracarica è stata avvistata alle 9 di mattina e il naufragio, con mare calmo, è avvenuto alle due di notte. Tutte quelle vite umane potevano essere salvate. Come è possibile tollerare un simile crimine?
Quante storie di speranza distrutte dalla politica dei muri anti-migranti. Che fa finta di non vederli, che ostacola le navi di soccorso delle Ong.
Taher al-Rahal avrebbe potuto dare speranza a suo figlio. Viveva con la moglie e i 4 figli nel campo profughi di Zaatari, in Giordania, il più grande del Medio Oriente coi suoi 80 mila profughi siriani. Un mare di baracche, tende, povertà. E di bambini, giovani, speranze. La sua storia l’ha raccontata suo cugino, Abdul al-Rahal, ad Al Jazeera.
L’emittente del Qatar ha raccolto anche la storia di Ahmad Yousef al-Nayef, 50 anni, sfollato con la famiglia a Tadif, nella regione di Aleppo, padre di 7 figli. Sua moglie, Ayoush al-Hassan, racconta che faceva qualche lavoro saltuario, ma non bastava per mantenere la famiglia. Cercava un lavoro in Europa per dare un futuro ai figli. Invece è stato inghiottito da mare e dall’indifferenza. I siriani sul peschereccio erano quasi 100.
L’ammiraglio della guardia costiera greca in pensione Nikos Spanos ha dichiarato alla stampa. «La nave era un cimitero galleggiante, una barca molto vecchia. Di solito donne e bambini in tali viaggi li mettono sul fondo. Li bloccano in modo che non possano muoversi. Il ministero della navigazione è stato informato tramite Frontex. L’Italia ci ha “affidato” l’incidente poiché si stava svolgendo nella nostra zona. La nave era in difficoltà. In un caso del genere, lo stato greco doveva agire immediatamente. Far partire il piano operativo, le barche di soccorso dovevano precipitarsi nell’area» (“Corriere della sera”, 16 giugno 2023).
Così non è stato.
Piangono i morti anche a Baudali, un grande villaggio nel lontano Kashmir, nel Pakistan del Nord. Una regione di confine con l’India, segnata da un conflitto senza fine tra i due paesi che se la contendono. Terra di minoranze perseguitate.
Sono 22 i dispersi nel naufragio che provenivano da Baudali, tra cui Abdul Jabbar, di 36 anni. Suo fratello Saeed Anwar racconta alla Cnn che era partito insieme ad altri tre parenti. Prima del naufragio gli avevano mandato un selfie, sorridenti. Avevano percorso migliaia di chilometri, si sentivano vicini alla meta. Abdul voleva dare un futuro migliore alle due figlie e alla moglie. Il Pakistan sta vivendo una delle peggiori crisi economiche degli ultimi decenni. Sul peschereccio naufragato c’erano 300 pakistani.
C’erano anche 43 egiziani, provenienti dal delta del Nilo. Reda al-Sayed racconta alla Bbc che suo figlio di 16 anni, Mohamed, è tra i dispersi. Vive nel villaggio di Abrash, a nord del Cairo, dove numerose altre famiglie piangono i dispersi. “Mio figlio se n’è andato senza dirmi nulla”, dice. Cercava, come tanti giovani, un futuro migliore di quello che può trovare qui. “Mi ha chiamato solo quando era sul peschereccio insieme ad altri parenti. Gli ho detto, invano, di tornare in Egitto.”
La France Presse ha raccolto altre storie di siriani morti o dispersi nel naufragio. A Kobane, nella città curda al confine con la Turchia, che ricordiamo per l’eroica resistenza contro l’Isis in uno dei più sanguinosi assedi durante la guerra civile, Mohammed Mohammed, di 48 anni, gommista, aspetta invano notizie di suo figlio Diyar di 15 anni.
Voleva andare in Germania, con 4 amici, pure dispersi, dove vive lo zio, il fratello di Mohammed. Qui la situazione è terribile, dice alla France Presse. Ogni tanto la Turchia bombarda. C’erano 35 siriani curdi, provenienti da quella zona del Nord del Paese, sul peschereccio naufragato. “Le persone stavano scappando dalla morte, ma hanno trovato la morte” dice Mohammed.
Potevano essere salvate. E invece sono stati abbandonate.