Ci ha lasciato, prossima ai 95 anni, Paola Gaiotti de Biase, figura di spicco del cattolicesmo democratico e del movimento delle donne

Paola Gaiotti de Biase nella foto-ritratto del Parlamento europeo.

Paola Gaiotti de Biase, figura di spicco del cattolicesimo democratico e del movimento delle donne, si è spenta a Roma il 13 luglio. Il 26 agosto avrebbe compiuto 95 anni.

È stata una militante e studiosa del movimento femminile cattolico e dei movimenti delle donne, presidente della Lega democratica, parlamentare europeo e deputata al Parlamento italiano.

Una biografia politica, la sua, che riassume in maniera esemplare tante battaglie, speranze, progetti, travagli, successi, fallimenti, nuove speranze dei cattolici democratici e delle donne nell’Italia del secondo Novecento e dei primi decenni del Duemila.

 

 

RICORDO DI PAOLA GAIOTTI DE BIASE

(Napoli, 26 agosto 1927 – Roma, 13 luglio 2022)

1. “Congedo”

2. Scheda biografica

3. Passi tratti dalla prefazione di Romano Prodi al libro “Passare la mano”

4. “C’erano i cattolici democratici”. Recensione dello storico Miguel Gotor a “Passare la mano”

 

 

1. “Congedo”

Pubblichiamo la pagina conclusiva della bella autobiografia di Paola Gaiotti de Biase “Passare la mano. Memorie di una donna dal Novecento incompiuto”, Viella, 2010.

 

 

«Ormai prossima, per ragioni naturali, al congedo, se devo dare una conclusione serena a quanto ho qui ricostruito, non posso che dire, con l’apostolo di cui porto il nome, “ho terminato la corsa, ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede”.

Si tratta di una serenità umile, che esprime sì la fierezza e la coerenza delle proprie scelte, ma anche la coscienza dei fallimenti, del poco che si è comunque riusciti a costruire dentro di noi e fuori di noi: le molte omissioni, i peccati di presunzione, gli errori pur involontari, le contraddizioni oggettive.

E tuttavia, come mi sono detta più volte nei momenti più amari, di fronte ad altre biografie, più confortate non solo dal successo, dalla fama e dal potere, ma anche dall’efficacia dei risultati, non cambierei la mia vita con quella di altre o di altri; so di dover esser grata al Signore per quello che mi ha dato, mi ha consentito di vivere.

È in fondo proprio nel segno di questa fierezza, pur sempre presuntuosa e arrischiata, che ho voluto ricostruire qui la vicenda personale, soggettiva, di una donna del Novecento che si è trovata con la sua generazione, entro la straordinaria avventura che ha iniziato – solo iniziato, e con qualche scandalosa regressione, come lo scorcio del 2008 ha messo in evidenza – a chiudere le pratiche di millenni di storia, la riduzione delle donne al piacere maschile e la negazione della loro piena soggettività politica.

In realtà, al di là dei miei stessi propositi, sento ora, mentre chiudo queste pagine, di dover ammettere che proprio quella straordinaria novità rendeva inevitabilmente il ricordo altro da una scrittura femminile privata; voleva alludere di fatto, pur fra scarti e parzialità, a una biografia finalmente collettiva, di donne di uomini, a un intreccio di volontà, di riflessioni, di obiettivi e di progetti, in un intreccio di gratitudini.

E a un sentimento che non posso tacere. In fondo, se un senso hanno queste mie memorie personali, è quello anche di un invito a ricostruire davvero la storia di quello che non è stato un gruppo di intellettuali astratti o salottieri, una minoranza di anime belle, ma una realtà che ha segnato la storia del paese, generazioni di giovani, amministratrici e amministratori locali, sindacalisti e accademici impegnati, associazioni di volontariato e circoli politici, docenti e operatori sociali, spesso troppo semplicisticamente identificati nell’immagine generica di mondo cattolico, ma ignorati e rimossi nella specificità e autonomia delle loro esperienze, pur intrecciate con la varietà delle tante altre esperienze che hanno fatto la storia di questo paese.

È qui che prende forma il dovere della speranza, se si tratta ancora di una delle risorse, delle ricchezze su cui il paese può contare per superare la crisi civile che l’attraversa.

La fede è uno degli elementi etici forti che sostiene la democrazia, ma solo se è segnata da una spiritualità che assume fino in fondo, in positivo, il valore delle realtà terrene, “penultime” diceva Bonhoeffer: se è una spiritualità che accetta il tempo che gli è dato come luogo di una Parola di Dio che si è incarnata nel tempo e nel tempo si riscopre e rivela ancora: se la Verità cui si affida non è un complesso dottrinale definitivo e chiuso (prodotto, entro i passaggi dati dalla storia, talora anche generosamente e provvidenzialmente, dal bisogno umano di sicurezza), ma una Via e una Vita da riscoprire costantemente nell’immagine di Dio che ogni essere umano porta con sé. Solo così il nostro può essere davvero un umanesimo aperto alla trascendenza.»

 

2. Paola Gaiotti de Biase – Scheda biografica

a cura di Vincenzo Passerini

 

Paola Gaiotti de Biasi nasce a Napoli il 26 agosto 1927 in una famiglia della borghesia professionale, prima di quattro figli di Caterina Bifulco e Ernesto de Biase. Si trasferiscono a Roma nel 1933.

Durante il liceo frequenta gli scout, un’esperienza breve, ma che la segna profondamente: “ha dato sistematicità e forza a un disegno esplicito di responsabilità e autonomia personale, di amore per la natura e per gli altri, di attenzione alla tecnica e valore per la ricerca, di sfida alla vita condotta con senso dell’umorismo. Su un terreno più impegnativo i cardini della promessa scout sono rimasti i cardini della mia spiritualità” (Passare la mano, p. 44).

Si iscrive a Filosofia, frequenta la Fuci, i Laureati Cattolici, i gruppi giovanili della Democrazia Cristiana, partito nel quale militerà a lungo, schierandosi con l’ala sinistra.

Nel 1950 sposa Angelo Gaiotti, friulano trasferitosi a Roma, giornalista, vicino alla sinistra democristiana, in particolare al gruppo dossettiano di Cronache sociali. Si sposano nel 1950. Nel 1958 nascerà il loro figlio, Eugenio.

Partecipa attivamente al Centro italiano femminile, nato nel dopoguerra per formare le donne cattoliche alle nuove sfide della democrazia.

Sarà sempre impegnata, come storica e militante, nel movimento di emancipazione femminile, cattolico in primo luogo, ma anche femminista in generale, soprattutto sul fronte politico. A questo tema, centrale nella sua vita, dedicherà diversi libri e molte battaglie.

Insegna storia e filosofia nei licei.

Il suo impegno nella Democrazia Cristiana culminerà con l’elezione nel nuovo Parlamento europeo nella legislatura 1979-1984.

A metà degli anni ’70 è tra i fondatori della Lega democratica, movimento nato da un folto gruppo di “cattolici del no” al referendum del 1974 sul divorzio (“no”, nel segno della laicità dello Stato, all’abrogazione della legge che lo consentiva) e dall’esigenza di rinnovamento della politica dei cattolici italiani. Nella Lega democratica convivono speranze di un rinnovamento della Democrazia Cristiana e ipotesi di fondazione di un secondo partito dei cattolici, collocato a sinistra.

Tra i promotori dell’associazione, Pietro Scoppola, Achille Ardigò, Paolo e Romano Prodi, Luigi Pedrazzi, Angelo Gaiotti, Luigi Macario, Ettore Massacesi, Roberto Ruffilli, Ermanno Olmi, Francesco Traniello, Luciano Pazzaglia, Nicolò Lipari, Paolo Giuntella, Livio Pescia, Gianfranco Maggi, Michele Dau. Intellettuali, politici, sindacalisti, aclisti, militanti nei movimenti associativi e di volontariato, giovani che poi, con Paolo Giuntella, daranno vita alla Rosa Bianca.

Di questo gruppo di personalità, Paola Gaiotti, se non fu tra le più famose, fu tra le più politicamente lucide e determinate.

 

PDF Pres. a Bologna nel 2008 del libro Moro-Bachelet con Gaiotti, Villa, Passerini, T. Giuntella 

 

Tra il 1975 e il 1987 (anno della chiusura dell’esperienza) la Lega democratica sarà animatrice culturale e politica di primo piano, attraverso convegni, dibattiti, la rivista “Appunti di politica e di cultura” (che continua tutt’oggi la sua vita con Città dell’uomo di Milano), i gruppi locali, le “scuole di formazione politica” in Trentino (proseguite poi dall’associazione Rosa Bianca).

La Lega democratica, ricorda Paola Gaiotti che ne fu presidente dal 1984 al 1987, fu “una straordinaria occasione di lavoro intellettuale collettivo, di amicizie e di incontri, di crescita personale e di amarezze, qualcosa che ha segnato per sempre le nostre vite, le nostre relazioni, i nostri sentimenti, vorrei dire il nostro stare al mondo insieme, nella realtà concreta del nostro paese in quella fase della sua storia” (Passare la mano, p. 156).

Negli anni ’70 Paola Gaiotti fu chiamata a far parte del comitato promotore, e poi annoverata tra i relatori, dell’importantissimo, e presto dimenticato, convegno del 1976 “Evangelizzazione e promozione umana”, promosso dalla Conferenza episcopale italiana. Un “evento straordinario”, lo ricorda Gaiotti, per partecipazione, confronto, sentimento comunitario, sguardo non pessimista sul mondo ma più attento “alle opportunità di un rinnovamento religioso da stimolare”. Ma quel lavoro e quelle speranze furono velocemente messi nel cassetto dalla gerarchia ecclesiastica (Passare la mano, pp. 157-160).

Dopo la conclusione dell’esperienza della Lega democratica e le speranze, deluse, di rinnovamento della Democrazia cristiana, Paola Gaiotti si avvicina nel 1987 al Partito comunista e comincia la sua collaborazione all’ “Unità”.

Nel 1991 aderisce al movimento referendario promosso da Segni e nello stesso anno al Partito democratico della sinistra nato dalla fine del Partito comunista dopo la caduta del Muro di Berlino. “E fui dunque – ricorda – pienamente coinvolta nella lunga, e sofferta gestazione del PdS, che maturò in una consuetudine di relazioni con intellettuali comunisti, penso a Giuseppe Vacca, e donne di sinistra, fra redazione di ‘Reti’, interventi a convegni, gruppi di lavoro, che non ignorava la diversità delle provenienze ma ne faceva un reciproco stimolo (…) E tuttavia quelle consuetudini di riflessioni comuni e di rapporti non furono in grado di battere una ideologizzazione femminista disastrosa” (Passare la mano, p. 263).

Alle elezioni politiche del 1992 candida per il PdS ma non viene eletta. Nel ’93 è tra i promotori, con Carniti, Gorrieri, Tonini e altre personalità del mondo cattolico intellettuale e sindacale, dei Cristiano Sociali, un gruppo che nel ’94 entra nella coalizione elettorale di centrosinistra dei Progressisti. Per questi è eletta alla Camera dei deputati (la legislatura si conclude due anni dopo).

Nel ’96 aderisce all’Ulivo promosso da Romano Prodi. Nel 2007 entra nel nuovo Partito Democratico.

Una biografia politica, la sua, che riassume in maniera esemplare tante battaglie, speranze, progetti, travagli, successi, fallimenti, nuove speranze dei cattolici democratici e delle donne nell’Italia del secondo Novecento e dei primi decenni del Duemila.

Accanto a questa esemplare testimonianza di impegno, Paola Gaiotti de Biase ci ha lasciato numerosi libri, tra i quali, accanto alla già ampiamente citata autobiografia Passare la mano. Memorie di una donna dal Novecento incompiuto (Viella, 2010), ricordiamo:

Le donne, oggi (Cinque Lune, 1957), Le origini del movimento cattolico femminile (Morcelliana, 1963, nuova ed. 2002), Questione femminile e femminismo nella storia della repubblica (Morcelliana, 1979), La questione femminile (con Cecilia Dau Novelli, Le Monnier, 1982), Il potere logorato. La lunga fine della DC. Cattolici e Sinistra (Edizioni Associate, 1990), Che genere di politica? I perché e i come della politica delle donne (Borla, 2000), Vissuto religioso e secolarizzazione. Le donne nella “rivoluzione più lunga” (Studium, 2006).

Vincenzo Passerini

 

3. Passi tratti dalla prefazione di Romano Prodi al libro “Passare la mano”

Dalla prefazione di Romano Prodi al libro di Paola Gaiotti de Biase “Passare la mano. Memorie di una donna dal Novecento incompiuto” (Viella, 2010)

 

«Dopo aver letto fino in fondo questo bel libro di memorie viene immediatamente spontaneo trasformare in un interrogativo il titolo stesso del libro.

Ci si deve infatti chiedere  a chi e come può essere “passata la mano” dell’esperienza qui descritta. Un’esperienza unica, quasi impossibile da riprodurre per la drammatica particolarità dei lunghi anni in cui essa si è dipanata e, soprattutto, per l’assoluta unicità dell’ambiente in cui si è svolta e l’altrettanto unicità delle persone che un tale ambiente hanno animato.

In questo caso passare la mano significa sperare che le generazioni successive possano fare tesoro di una simile esperienza, non tanto per i suoi successi quanto per la pulizia, la coerenza e il disinteresse che ha caratterizzato la vita e le azioni del folto gruppo di amici che sono stati i referenti della lunga vita politica e intellettuale dell’autrice di queste memorie.

Tutto il libro si dipana infatti in un ambiente di amici tra loro legati da un profondo interesse per la cosa pubblica e un altrettanto profondo attaccamento alla Chiesa. Con un’apertura costante verso le cose del mondo, ma con un inconfondibile “amarcord” romano, il cui circuito scorre tra le due sponde del Tevere (…)

Paola Gaiotti è stata fra le prime in Italia a occuparsi di storia delle donne e specificatamente di storia politica, pensata in un legame forte fra storia delle donne e storia generale, contro ogni tentazione separatista. E con un’attenzione partecipe, anche quando critica, alle diverse riflessioni femminili su di sé che hanno attraversato il secolo. E ha accompagnato questa ricerca con un lungo impegno politico che ha tenuto insieme coerenza e percezione anticipata del mutamento degli equilibri.

I segni principali di questa attenzione partecipe che emergono dalle vicende narrate, certo non esclusivi dell’autrice ma condivisi con altre e altri, sembrano soprattutto due.

Il primo è l’assunzione esplicita del processo di contaminazione culturale come valore, che non solo non riduce, ma rafforza, rinnova, rende più efficace e comunicabile il proprio retaggio ideale; il secondo è la sfida a leggere (e così anche a tradurre) la secolarizzazione, l’emergere moderno della soggettività di donne e di uomini non come la negazione dell’affidamento religioso ma accoglienza il messaggio evangelico sulla persona come immagine di Dio.

Questo atteggiamento è il modulo con cui l’autrice si avvicina al Concilio, visto non come rottura col passato ma come il recupero di “una Chiesa amica della storia moderna e delle libertà conquistate, una Chiesa segnata dalla sovranità in essa del messaggio evangelico, dal primato della coscienza sulla legge, della comunità e della profezia sull’istituzione, dell’amore sulla dottrina, della misericordia sulla disciplina, e ancora dalla collegialità episcopale, dal dialogo ecumenico, dall’universalità della salvezza”.

Nella coscienza dell’autrice, come in quella di tutti noi che abbiamo appassionatamente vissuto la storia del Concilio, questi valori hanno costituito non solo il fondamento del rapporto con la Chiesa ma anche uno strumento di interpretazione dei rapporti fra fede religiosa e partecipazione alla vita politica che ci avrebbero accompagnato per sempre e che ha aperto, negli anni immediatamente successivi al Concilio, un profondo e appassionato dibattito in tutto il mondo cattolico.»

Romano Prodi

 

4. “C’erano i cattolici democratici”.

Recensione dello storico Miguel Gotor a “Passare la mano” pubblicata su “Il Sole 24 ore” il 10 luglio 2010

 

«Una donna che scrive intrecciando volontà e riflessioni, “progetti e gratitudini “. Questa è la prima impressione che si prova leggendo il libro di Paola Gaiotti de Biase tra pochi giorni in libreria, Passare la mano. Memorie di una donna dal Novecento incompiuto (Viella, € 28, 00).

Non una semplice autobiografia privata, ma un originale contributo alla critica di se stessa di crociana memoria, in cui lo spazio personale è sempre collegato all’impegno civile e religioso.

L’autrice è stata protagonista di una vita feconda che ha incrociato la storia del cattolicesimo democratico italiano, quello che ha coniugato l’interesse per la Res publica con l’attaccamento all’esperienza cristiana.

Tutto ha inizio, come racconta la Gaiotti, da un’esperienza di fede personale non come educazione, ma come grazia, una scelta autonoma e adolescenziale ancorata, senza saperlo, alla forza liberatrice della scommessa pascaliana e che poi si sarebbe snodata in tre momenti fondativi: esistenziale (il rapporto tra fede e libertà), intellettuale (la fede come chiave di lettura della vicenda umana) e civile (il rapporto tra fede e politica).

Sarà quest’ultimo approdo a caratterizzare di più la vita dell’autrice che spiega: «alla politica si nasce non perché credenti ma perché cittadini», secondo un insegnamento di laicità che la induce a riconoscere in Alcide De Gasperi il proprio maestro.

Il libro è anzitutto la storia di un impasto di relazioni umane, professionali, politiche e religiose che hanno come epicentro il mondo romano e racconta una forma particolare di “azionismo cristiano” che assume i caratteri volontaristici propri di quel filone di pensiero. Senza, però, essere elitario o astratto grazie alla mescolanza col vivere quotidiano nel mondo della scuola, ma anche all’impegno civile e politico in favore del mondo femminile e l’attività in parrocchia, come nelle diverse realtà ecclesiali.

Forse la parte più originale del volume è quella dedicata agli anni Settanta, spesi dalla Gaiotti nell’esperienza della Lega democratica. Una decade che ci viene restituita nella sua interezza: non solo violenza e terrorismo, ma anche speranze di miglioramento di una società sclerotizzata e di riforme scolastiche, sanitarie, dei diritti della persona, del lavoro e di partecipazione civile.

“Anni pieni”, “appassionati e drammatici” in cui, almeno fino 1977, ci si è spesi per un rinnovamento della politica italiana e della vita dei partiti. Per guanto riguarda la Gaiotti, la Democrazia cristiana, quella di Moro e di Zaccagnini.

Il libro è permeato da un acuto sentimento della sconfitta subita, che culmina con il rapimento e la morte di Moro nel 1978 con cui il cattolicesimo democratico perde il suo interlocutore più acuto e partecipe. In effetti, quell’esperienza politica aveva bisogno di un partito come la Dc per manifestare al meglio la propria influenza e, negli attuali schieramenti, sembra avere smarrito la sua funzione; necessitava di una “forzatura” originale come la “balena bianca” destinata fatalmente a spiaggiarsi venute meno le irripetibili ragioni storiche (nazionali e internazionali) della sua esistenza.

Il cattolicesimo democratico è stato un seme che ha attecchito e germogliato alle radici dell’albero come speranza di rinnovamento del fusto democristiano e che ha ricevuto una linfa vitale dal processo di cambiamento avviato dal Concilio Vaticano II: “una Chiesa amica della storia moderna e delle libertà conquistate” che finalmente legittimava il senso di responsabilità politica e quello della spiritualità laicale.

Rispetto ai rapporti con la Dc, chiosa amara la Gaiotti, “quella speranza è durata poco; ma in molti abbiamo comunque continuato a credervi come l’unica possibile nel nostro tempo”.

La forza del libro sta nell’onestà intellettuale di una donna gagliarda che non fa sconti neppure a se stessa ed è consapevole di avere assistito alla chiusura di una densa parabola storica che ha coinciso con la propria vita.

È lo stesso Romano Prodi a sottolinearlo nella partecipata presentazione al volume: si tratta di un’esperienza “difficilmente riproducibile già nel l’Italia di oggi, e certamente, ancora meno in quella di domani”.

Prevale il sentimento di un fallimento certo aggravato dalla falcidie di morti che ha privato il cattolicesimo democratico delle sue intelligenze migliori: dalle scomparse precoci di Tommaso Morlino, Vittorio Bachelet e Roberto Ruffilli a quelle più recenti di Beniamino Andreatta, Achille Ardigò, Pietro Scoppola, Gabriele De Rosa e Giuseppe Alberigo.

Una Spoon River repubblicana di probità, popolarismo e temperatezza di cui si avverte oggi come non mai la mancanza.

Eppure, nello scoramento, le generazioni più giovani avvertono anche la presenza di un’invisibile testimone che si passa di mano perché, se il Novecento è rimasto incompiuto, vuol dire che molto resta ancora da fare. Come è giusto che sia quando, per citare San Paolo, si è combattuta “una buona battaglia”. »

Miguel Gotor