Regole, non retorica. Rispetto della regola più urgente: stare a casa. Stare a casa. Stare a casa. Punto. Lo implorano in queste ore soprattutto coloro che sono sulla frontiera, medici e infermieri. Lo urlano dalle zone dove il contagio del coronavirus sta sterminando le persone. Dove i necrologi riempiono pagine e pagine di giornali. Dove non si sa più dove mettere i malati.
State a casa, implorano, urlano. Uscite solo per vere necessità. Vere necessità, che sono poche, molto poche. Solo così si può arginare l’epidemia.
Dobbiamo ascoltare queste urla perché vengono dalle persone più credibili. Quelle che non conoscono i malati per sentito dire o come un numero della statistica quotidiana. Ma che li vedono ogni giorno in carne ed ossa, che li curano, li assistono, condividono con loro speranza e disperazione. Li vedono soffrire, implorare aiuto con gli occhi, perché non sono in grado di parlare.
Chi dobbiamo ascoltare?
Se non ascoltiamo loro, chi dobbiamo ascoltare? Loro che sono stremati dal numero crescente di malati da curare e assistere?
Lo vogliamo capire che è un privilegio stare a casa? Un privilegio, per noi che non dobbiamo andare a lavorare? Per noi che abbiamo una casa, mentre ci sono quelli che vorrebbero stare a casa ma la casa non ce l’hanno?
Stare a casa è un privilegio, non un peso. È un peso solo per chi non ha capito la tragedia che stiamo vivendo. È spaventosa questa allegra incoscienza. Tutta questa gente in giro è un’offesa per chi sta combattendo con tutte le proprie forze, ad ogni livello, contro questo terribile virus.
È inutile esprimere ammirazione per chi sta esponendo a rischi per dovere di servizio o per scelta. Come il personale degli ospedali, delle case di riposo, dell’assistenza domiciliare, delle cooperative sociali che sono accanto alle tante persone più deboli, delle pulizie, della manutenzione, dei servizi di base, di pronto intervento e soccorso. Come i medici in pensione tornati in servizio. Come i volontari.
Veniamo da anni di disprezzo delle regole
Il modo migliore per ringraziare tutte queste persone ed esprimere loro la nostra ammirazione e il nostro sostegno è rispettare le regole.
Meno retorica, più rispetto delle regole. Vale per tutti. Per ciascuno di noi, in primo luogo, che abbiamo il privilegio di poter stare a casa. E dobbiamo starci. Per i datori di lavoro, che non possono giocare con la vita dei lavoratori. Ma anche per chi impone il rispetto di regole, ma non mette in condizione chi deve adempiere quest’obbligo di poterle rispettare.
Veniamo da anni di disprezzo delle regole. In alto e in basso. Tra le elite e tra il popolo.
C’era stato dopo tangentopoli un soprassalto di coscienza collettiva sulla urgenza di ritrovare una cultura delle regole. Di ritrovare il senso personale e collettivo che le regole non sono un peso, ma tengono in piedi e salvano le comunità.
Poi si è tornati a disprezzare le regole.
Dal berlusconismo alla crisi finanziaria
Il ventennio berlusconiano è stato la tomba di quel soprassalto di coscienza collettiva. L’irrisione della cultura delle regole divenne un vanto. Dei potenti e dei piccoli. La guerra quotidiana a chi faceva rispettare le regole divenne un modo di fare politica. Di gestire la cosa pubblica.
Non che la sinistra con le regole ci andasse a nozze. Una parte si salvò dall’andazzo. Ma in nome del partito o del consenso, quanti scempi di regole anche a sinistra. Stesso dicasi per il centro. È sempre stato flessibile su tutto, a partire dalle regole. Da lì sono venuti molti rimproveri alla cultura delle regole. E non pochi pessimi esempi. Anche recenti.
E l’economia? E la finanza? Hanno sempre considerato un peso intollerabile le regole. L’assenza di regole nel capitalismo finanziario mondiale ha provocato la spaventosa crisi economica del 2007-2008 da cui non ci siamo più risollevati.
Più regole, meno retorica. Le regole non sono un peso, tengono in piedi le nostre comunità. Le regole salvano, ci salvano. Oggi più che mai. Basta con questa allegra incoscienza. Stiamo a casa. Punto.
Pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 19 marzo 2020