La sentenza della Corte di Cassazione che ha rimandato a casa i grandi mafiosi, condannati per alcuni dei più gravi delitti degli anni ’80, ha ricordato agli italiani, in piena guerra del Golfo, che, loro, una guerra ce l’hanno in casa da anni, sanguinosa spietata, con le vittime che si contano a migliaia (bambini non esclusi), con i suoi funerei bollettini quotidiani, i suoi imponenti traffici alle spalle, e, cosa più tragica, nessuno spiraglio di pace all’orizzonte. (Nella foto: Leoluca Orlando)
Niente lascia prevedere che l’eccidio sarà presto fermato. Il grafico delle statistiche segnala invece l’aumento dei morti. Lo Stato democratico registra puntualmente la sua sconfitta.
Da dove viene questa invincibilità del crimine? Se si trattasse di un conflitto tra un potere illegale e il potere legale, quest’ultimo, con i mezzi che ha, ne uscirebbe presto vincitore. Come è stato per il terrorismo.
Un intreccio criminoso di poteri
In realtà, dietro l’invincibilità della mafia, della camorra, di tutte le altre forme di crimine organizzato c’è un intreccio tra poteri criminosi e apparati dello Stato.
È lo stesso potere legale a essere inquinato e quindi a non potere o volere la sconfitta del crimine. Il che significa che la nostra democrazia è profondamente malata, malata fino all’osso.
Il male, un tempo circoscritto, sta diventando nazionale.
L’intreccio tra politica e affari, e malaffare, ha portato a una diffusione capillare del sistema delle tangenti. La politica è profondamente in crisi.
Partiti, giustizia, informazione: tre pilastri malati
I partiti, che occupano ormai tutti gli spazi della vita civile, sono a loro volta occupati da oligarchie inamovibili, che non hanno ormai nessun rapporto con i cittadini, la società civile, le domande di rinnovamento, partecipazione, pulizia.
La malattia investe in pieno anche il sistema giudiziario che non è più in grado di funzionare. La legge ogni giorno deve dichiarare amaramente la propria impotenza. E non solo contro i mafiosi.
Il cittadino, mortificato dal sistema dei partiti, umiliato nelle sue legittime, normali esigenze di giustizia, si trova poi a dover far i conti con un’informazione in mano a pochi centri di potere, che hanno privilegiato i rapporti con i partiti al potere. Da dove viene questa campagna diffamatoria contro il Tg3, contro l’unica rete televisiva non in mano al Caf (Craxi-Andreotti-Forlani)?
Ma non c’é nessuno in questo Paese che faccia una campagna di stampa contro le faziosità di Rai 1, Rai 2, Berlusconi e company? Se lo fai, questo è il lato curioso, ti fanno passare per veterocomunista. Eppure, una volta, la liberta di stampa era un grande valore del liberalismo…
Partiti, giustizia, informazione. Tre pilastri del nostro sistema democratico che non funzionano, che sono malati.
La Rete per un impegno straordinario
Allora oggi, il problema più urgente, che viene prima di tutti gli altri, è quello di ricostruire le condizioni per la democrazia.
È il problema della democrazia che va posto all’ordine del giorno in maniera pressante, con forza, raccogliendo tutte le energie disponibili.
Che senso ha dividersi in questo momento su tante questioni, non sempre importanti, quando si e invece uniti nella domanda di democrazia vera, nella richiesta di uno Stato di diritto vero?
È necessario un impegno straordinario per ricostruire una vita democratica ordinaria, dove le persone possano davvero confrontarsi su problemi e programmi attraverso i partiti, dove la giustizia funzioni, dove l’informazione non sia monopolizzata, dove gli onesti e i più deboli non siano quotidianamente umiliati dall’arroganza dei furbi e dei forti.
Per raggiungere questi obiettivi è nato il Movimento per la democrazia La Rete, presentato il 24 gennaio 1991 a Roma da Leoluca Orlando, Nando Dalla Chiesa, Diego Novelli, Leonardo Benevolo e altri.
Un movimento, non un partito. Perché il nostro sistema politico non ha bisogno di un altro partito accanto ai tanti già esistenti.
Ha bisogno di una forza che invece metta in discussione il sistema dei partiti; che abbia il distacco e la libertà necessari per provocare nel sistema politico quei cambiamenti che al loro interno i partiti immancabilmente mortificano.
Uno spazio, quindi, per tutti coloro che credono nella democrazia, ma che non trovano nei partiti interlocutori credibili; e per coloro che, pur impegnati nei partiti, ne vedono i limiti, ne esigono, non solo a parole, i necessari, radicali mutamenti.
Un movimento a termine
Un movimento a termine, dunque, perché considera la sua funzione limitata agli obiettivi da raggiungere.
Se si tratta di ricostruire le condizioni per la democrazia, di introdurre quei cambiamenti che facciano funzionare correttamente il nostro sistema democratico, allora, una volta conseguiti questi risultati (ma quanto tempo ci vorrà? Ci sarà la forza necessaria per raggiungere questo l’obiettivo?) il movimento potrà sciogliersi e ciascuno tornerà a far politica nei partiti che a quel punto dovranno essere ben diversi da quello che sono oggi.
Un movimento a termine è una cosa inconsueta nel nostro panorama politico, perché da noi l’appartenenza politica è stata per troppo tempo una scelta di vita e, nei casi meno nobili, ma non infrequenti, una polizza-vita.
Se è finito il tempo delle ideologie, allora il partito, o il movimento che sia, deve ritornare ad essere semplicemente uno strumento e come tale limitato, discutibile, quindi da mettere in discussione quando non lo si ritiene più adeguato al raggiungimento degli scopi prefissati o, quando si ritiene che questi siano stati raggiunti.
Non è questo un atto rivoluzionario in un Paese in cui in politica si entra e non se ne esce mai?
Ma è la normalità ad essere rivoluzionaria…
Un movimento per cattolici e non cattolici, per “sinistri” e moderati: la battaglia per la democrazia supera le divisioni delle storie personali. L’emergenza richiede un impegno unitario di tutte le forze che sinceramente vogliono rigenerare il nostro sistema politico.
Su altri punti le divisioni resteranno: si firma un manifesto programmatico, non i dieci comandamenti.
I cattolici
Due parole, ancora, sui cattolici. L’intransigenza che hanno spesso mostrato per la guerra del Golfo deve trasferirsi ora sul piano politico, nel dibattito e nelle scelte che toccano la guerra di casa nostra.
Cosa succederebbe se i cattolici scendessero massicciamente in campo per far saltare quegli equilibri e quei compromessi che perpetuano la potenza della mafia, che incentivano la corruzione, il sistema delle tangenti, che sostengono le monarchie politiche, i monopoli dell’informazione, che tengono in vita tutti quegli apparati che rendono vergognosa la nostra democrazia?
In pochi anni l’emergenza sarebbe superata, la democrazia rigenerata. La Rete potrebbe presto aver esaurito il suo compito.
Per questa nobilissima crociata le intelligenze, le energie, gli entusiasmi non mancherebbero; le associazioni, i movimenti; la stampa…
Perché non mobilitare tutto questo per essere ancora una volta, come nel dopoguerra, protagonisti della rinascita democratica del nostro Paese?
Perché non sperare in questo, non chiedere a gran voce questo impegno straordinario per un’esistenza ordinaria?
Questa è un’occasione. La sprecheremo ancora aspettando un Godot che non arriva mai?
Pubblicato su Il Margine, n. 9, 1990 (chiuso in tipografia il 15 marzo 1991)
Vedi anche: Manifesto costitutivo del Movimento per la Democrazia La Rete