“Spezzare le catene. Immigrati e oppressi provocano l’Europa” (Scuola di formazione politica 1999 della Rosa Bianca)

“Spezzare le catene. Anche le nostre”. Relazione introduttiva alla 19^ Scuola di formazione politica della Rosa Bianca, “Spezzare le catene. Immigrati e oppressi provocano l’Europa”, San Cosimo alla Macchia, Oria (Brindisi), 26-29 agosto 1999.

 

 

 

 

 

Vincenzo Passerini

Spezzare le catene. Anche le nostre

 

Lo scrittore messicano Carlos Fuentes in un articolo sul quotidiano spagnolo “El Pais” del 2 marzo scorso, ripreso da “Internazionale” del 14 maggio, ha ricordato che

se potessimo ridurre la popolazione della Terra alle dimensioni di un villaggio di cento abitanti, otterremmo il seguente risultato: ci sarebbero 57 asiatici, 21 europei, 14 americani (del Nord e del Sud) e 8 africani.

La metà della ricchezza complessiva del villaggio sarebbe nelle mani di solo sei persone, tutte di nazionalità statunitense. Ottanta vivrebbero in case di pessima qualità. Settanta sarebbero analfabete. Cinquanta sarebbero denutrite. Una sarebbe moribonda e un’altra sul punto di nascere. Solo una delle cento persona avrebbe un’istruzione di livello universitario.

Apparteniamo mediamente a quell’uno per cento di molto istruiti e benestanti, anche se non ricchi come i sei statunitensi.

Sentiamo la responsabilità di questo privilegio di cui dovremo un giorno rendere conto.

Rispondiamo con l’impegno civile, politico, ecclesiale, di volontariato, anche come associazione Rosa Bianca.

Affrontiamo le grandi questioni del nostro tempo con uno sforzo di serietà e sensibilità, consapevoli di avere un compito di stimolo, di lievito.

 

Un pugno di lievito

Come non ricordare a questo proposito il lucido e rasserenante discorso del cardinale Carlo Maria Martini per la vigila di Sant’Ambrogio, il 5 dicembre scorso, intitolato appunto “Il seme, il lievito e il piccolo gregge” (Carlo Maria Martini, Il seme, il lievito e il piccolo gregge. Discorso per la vigilia di S. Ambrogio, Centro Ambrosiano, Milano 1998, pp. 20-21)?

Il cardinale invitava la Chiesa a non avere nostalgia dei tempi in cui era forza rilevante nel quadro politico della società, ma a

riconoscere invece con serenità di essere piccolo gregge, di essere seme e lievito nella città

il che implica, aggiungeva, un ethos preciso,

un ethos di umiltà, di mitezza, di misericordia, di perdono, di riconoscimento delle proprie colpe anzitutto all’interno della Chiesa; è l’ethos del Grande Giubileo indetto dal papa per l’anno duemila.

Un discorso, quello di Martini, che se valeva per la Chiesa nel suo insieme, cui era rivolto, e definita appunto un piccolo gregge, un pugno di lievito, un seme gettato, tanto più dovrebbe valere per noi.

Queste nostre riflessioni, arricchite dal contributo qualificato di tante persone, di studiosi e di esperti, si riversano poi in tanti torrentelli che nascono qua e là nelle più diverse terre d’Italia, torrentelli dal percorso spesso strano e misterioso, sicuramente mai misurabile. Ma che ogni tanto fanno germogliare qualcosa di nuovo. Qualcosa di buono.

 

Spezzare le catene mentali e culturali

Nel villaggio che Carlos Fuentes ha descritto, in un mondo siffatto, le questioni delle migrazioni dei popoli e della drammatica domanda di tutela per tutti dei diritti umani fondamentali sono centrali, decisive, urgenti.

Diremmo sconvolgenti, nel senso che sconvolgono le nostre abitudini.

Comprese quelle politiche legate alle culture nazionalistiche di cui siamo imbevuti più di quanto noi stessi immaginiamo.

Credo che le riflessioni di oggi e dei prossimi giorni avranno proprio come comune denominatore il costringerci a spezzare le nostre catene mentali, culturali, condizione necessaria per essere in grado di capire e governare l’imponente fenomeno mondiale legato alla domanda di liberazione e di circolazione di tanti popoli.

Cercheremo di comprendere quanto c’è di antico e quanto c’è di nuovo in questo grandioso fenomeno, per essere in grado di individuare le risposte giuste. Giuste in termini di atteggiamento personale, giuste sul fronte delle leggi, giuste sul fronte delle scelte politiche.

La solidarietà che per noi ha radici evangeliche è un imperativo pari a quello della risposta politica, efficace, concreta, praticabile. Visto che, con il magistero ecclesiale, consideriamo la politica come la più alta forma di carità.

Scegliendo questo tema abbiamo anche scelto di lasciare il Trentino dopo vent’anni e di venire con la scuola di formazione politica della Rosa Bianca in Puglia, questa volta.

In Puglia, perché terra di frontiera. E che ha saputo essere terra di frontiera con grande dignità.

Siamo anche qui, dunque, per imparare.

Abbiamo spezzato, in questo modo, la nostra prima catena, scegliendo di venire al Sud.

 

Salvati da Fiona May

Mi sarebbe francamente piaciuto che dal Nord fossimo scesi per la Rosa Bianca almeno in centoventi (non ce n’erano, per la verità, neanche in Trentino così tanti lo scorso anno) per pareggiare il conto dei centoventi pattinatori, dai tredici ai ventisei anni, quasi tutti del Nordest, che hanno disertato all’inizio di luglio di quest’anno i campionati italiani di pattinaggio artistico organizzati a Giovinazzo vicino a Bari, inviando falsi certificati medici dietro i quali c’era soltanto – come è stato accertato -la “paura dei kosovari” (vedi “La Repubblica” del 12 luglio 1999).

Se questi sono gli atleti italiani, se questo è il loro livello di coraggio, se queste sono le loro capacità di movimento, non meravigliamoci se 1’unica medaglia ai campionati mondiali di atletica leggera è stata data all’Italia dalla bella e brava e forte e coraggiosa e nerissima Fiona May.

L’Italia è anche questo. E ancora, drammaticamente, questo. È ancora questo Nord e Sud che tendono ad allontanarsi.

 

I santi medici Cosma e Damiano

Ma noi non possiamo rassegnarci a questa vera e propria deriva alimentata anche dai raffinati opuscoli educativi non tanto della Lega Nord, che hanno fatto il loro tempo, ma del generale Celentano comandante della Folgore. Dopo l’ingerenza umanitaria degli eserciti sarebbe bene inventare l’ingerenza civile negli eserciti. Ingerenza civile nel senso di civiltà. Operazione urgentissima se pretendiamo inviare i nostri eserciti nel mondo a difendere i valori della nostra civiltà, a promuovere i diritti umani.

Siamo qui a due passi dal popolare santuario dei santi medici Cosma e Damiano. Oria li onora assieme ai loro tre fratelli Antimo, Leonzio e Cuprepio.

Ho letto la storia del culto dei santi medici così come è narrata secondo lo spirito dei tempi nel libro di monsignor Francesco Conti (I Santi Medici nella storia e nel culto), pubblicato quarantacinque anni fa e ristampato a cura del santuario S. Cosimo “alla Macchia” e della Diocesi, pochi mesi or sono, e che mi è stato gentilmente donato da don Franco Dinoi, rettore del santuario.

Vorrei ricordare tre aspetti essenziali di Cosma e Damiano: il loro essere turchi, martiri e anargiri (un termine ecclesiastico che significa “senza argento”).

 

Turchi e “senza argento”

Erano della Cilicia, regione dell’attuale Turchia, terra violentemente offesa dal terribile terremoto di dieci giorni fa.

Il fatto di venerare dei santi turchi ci fa comprendere come in tema di immigrazione la fede cristiana abbia scritto pagine indelebili da molti anni (Cosma e Damiano vissero nella seconda metà del terzo secolo).

Ricordo spesso, quando in Trentino mi capita di discutere con qualche secessionista o separatista o razzista che rivendica la difesa delle radici culturali e spirituali locali, che i patroni della diocesi di Trento sono i martiri Sisinio, Martirio e Alessandro, tre giovani diaconi turchi che lasciarono la Cappadocia, altra regione dell’attuale Turchia, chiamati a convertire quelle nostre terre pagane, verso la metà del quarto secolo, dal vescovo di Trento, Vigilio.

Insomma, ricordo che le radici della nostra cultura di terra nordica, montana e cristiana sono dovute alla fede e al coraggio di tre giovani immigrati turchi.

Anche Cosma e Damiano, che non lasciarono mai le loro terre, furono martiri.

Le agiografie che li riguardano narrano di terribili supplizi cui furono sottoposti. Leggendone la descrizione nel libro di monsignor Conti m’è venuto spontaneo pensare ai supplizi patiti da tanti profughi del Kosovo (e da tante altre vittime) – e di cui dà conto anche il libro di Paolo Giuntella (È notte a Kukes. Storie di profughi, volontari e cronisti, Rai Eri-Marietti, Roma-Genova 1999) che presenteremo venerdì sera – in nulla diversi da quelli subiti da Cosma e Damiano.

Non voglio dire niente di più su questi martiri che ci rimettono davanti la verità terribile e misteriosa e intollerabile della Croce. Che ce la sbattono in faccia, senza tante decorazioni e mediazioni più o meno dolciastre.

Infine, Cosma e Damiano sono ricordati, come abbiamo detto, come i santi “anargiri”. Cioè, prestavano la loro opera di medici “senza argento”, senza chiedere compenso.

Un peccato che questo termine non abbia avuto fortuna e sia stato dimenticato dalla nostra cultura linguistica. Perché non farlo tornare di moda alla vigilia del Grande Giubileo, l’avvenimento biblicamente “anargiro” per eccellenza? Viva dunque gli anargiri.

 

In collaborazione col Vescovo e la comunità ecclesiale

Siamo contenti dello stretto rapporto che per questa scuola abbiamo intrecciato col vescovo, monsignor Marcello Semeraro, e la comunità ecclesiale. Un rapporto di collaborazione, un lavorare insieme, nel reciproco rispetto.

Rispettando quindi le differenze, di ruolo e di carisma, sapendo che sono essenziali per la Chiesa sia il carisma, e l’opera della gerarchia e del clero, sia il carisma e l’opera dei credenti laici.

L’impostazione di questa scuola tende a valorizzare il ruolo degli uni e degli altri.

Ci muoviamo su un terreno di formazione politica dove i credenti laici hanno un ruolo primario. Questo ruolo primario va assunto con piena consapevolezza e in piena autonomia. Ma in collaborazione col vescovo e la comunità ecclesiale. Senza coinvolgere il vescovo in scelte sul discutibile terreno politico che sono proprie dei credenti laici, e senza che il vescovo pretenda di dettare queste scelte.

Il rapporto tra cristianesimo e politica è sempre esigente e insieme delicato.

 

Credenti laici emarginati o assenti

Il vero problema, però, drammatico in questi ultimi anni, è la crescente clericalizzazione della vita. ecclesiale. È l’emarginazione dei credenti laici sempre più destinati a ruoli secondari. È la scarsa fiducia in loro.

Ma assistiamo anche alla loro autoemarginazione, a volte.

Viene da chiedersi come mai, anche su un terreno più propriamente laico come quello della formazione politica cristianamente ispirata, siano rarissime le iniziative promosse e sostenute autonomamente, liberamente da credenti laici.

Iniziative che mettano insieme laici e religiosi, dove si parli di politica e di sociologia, ma anche di teologia, dove si discuta e dove si preghi. In liberta e fedeltà, in autonomia e in collaborazione.

 

Dopo la catastrofe di tangentopoli non si è fatto nulla

Eppure, dope il crollo morale del cattolicesimo impegnato in politica e culminato con tangentopoli, dopo quella tragedia storica rimossa, anche dalla coscienza cattolica del nostro Paese (si fa un torto alla verità se si ritiene che tangentopoli sia una questione che riguardi solo coloro che erano impegnati direttamente nell’economia e nella politica e non la Chiesa nel suo complesso, non la cattolicità italiana nel suo insieme); che cosa, si è fatto, dunque, dopo tangentopoli, sul fronte della ricostruzione di una presenza in politica. culturalmente, spiritualmente, moralmente fondata? Nulla.

L’impressione è che, mentre i credenti laici per lo più dormono o sopravvivono, ed essendo in genere colti e benestanti non avvertono tante urgenze storiche, una parte della gerarchia ecclesiastica italiana aspiri nuovamente a guidare direttamente la presenza di gruppi di cattolici in politica, comunque siano, purché fedeli e obbedienti.

Si accantona cosi il Vaticano II. Ma si accantona anche la questione morale, che per i cattolici è stata una vera e propria catastrofe (sicuramente non inventata né dai giudici di Milano, né da quelli di Palermo che hanno fatto il loro dovere e ai quali va tutta la nostra stima e solidarietà.

Di

esiti catastrofici cui è arrivato l’agire politico

parlò Dossetti, che sapeva quello che diceva, nel 1992 (Prefazione a Giorgio La Pira, Il fondamento e il progetto di ogni speranza, Ave, Roma 1992, p. X).

Si rimuove, si torna indietro, non si fa tesoro delle lezioni della storia per costruirne una nuova, con quello spirito di umiltà e sincerità sopra citato, con quel “culto della verità” che ricordava Giuseppe Lazzati essere essenziale per la comunità cristiana (La città dell’uomo. Costruire da cristiani la città dell’uomo a misura d’uomo, Ave, Roma 1984, p. 67).

Si cercano invece nuove sicurezze. Ma tutto questo l’abbiamo già visto e sappiamo dove ci ha portato.

 

Verso la riconciliazione delle tre famiglie di Abramo

Riflettendo su un tema cosi grande come quello che ci siamo dati per questa scuola, vorremmo però anche alimentare dentro di noi, tra di noi, e intorno a noi non solo un libero e fedele spirito critico e un giudizio storico fondato, ma anche uno sguardo fiducioso verso il futuro.

Ci aiuta in questo la memoria di Giorgio La Pira.

Egli ci ha insegnato a cogliere nel profondo degli avvenimenti umani, spesso caotici e contraddittori, una irresistibile tendenza all’unità della famiglia umana. Di sicuro in questa nuova stagione di migrazioni di popoli e di affermazione progressive, dei diritti umani a tutte le latitudini, ma anche di comunicazione informatica planetaria, egli non scorgerebbe soltanto limiti, contraddizioni e pericoli.

Nella vita del villaggio di Carlos Fuentes, che abbiamo ricordato all’inizio, La Pira vedrebbe un processo carico di promesse, promesse più forti delle minacce.

Dietro le migrazioni che irrompono nel nostro mondo La Pira scorgerebbe i1 preludio di quella che un giorno sarà finalmente la riconciliazione delle tre famiglie di Abramo: l’ebraica, la musulmana, la cristiana.

Ci vuole la limpida fede di La Pira per credere in questo. Bisogna pregare molto per poter credere in questo. Bisogna aver coltivato con molta ostinazione e pazienza quel cristianesimo interiore che solo consente di vedere oltre la cronaca, oltre i nostri stessi limiti personali, oltre i limiti dello spazio e del tempo.

 

L’utopista la Pira, il vero realista

Eppure, negli stessi anni Cinquanta, La Pira manifestava altrettanta impavida e sconcertante fiducia nella fine dell’ateismo di Stato della santa Russia. E lo faceva tra il compatimento e l’irrisione dei più.

Noi oggi sappiamo che avrebbe avuto ragione lui. Contro ogni realismo il vero realista fu lui, i1 credente, l’utopista.

Ma, lasciamoci conquistare dalla sua parola. Sentite cosa scriveva nel 1957 in un articolo intitolato “Fino all’estremo della terra” e pubblicato su “Il Focolare”, organo dell’opera della Divina Provvidenza “Madonnina del Grappa” di don Giulio Facibeni, un altro santo dei nostri tempi (articolo ora riproposto in Giorgio La Pira, Il fondamento e il progetto di ogni speranza, Ave, Roma, 1992, pp. 58-60):

I tristi avvenimenti che, in troppi Paesi, agitano gli uomini, anziché generare in noi fermenti di scetticismo e scoraggiarci, accrescono nel nostro animo l’urgenza della grazia e della carità, e ci inducono a rialzare il vessillo della nostra speranza.

Da, una parte, infatti, la nostra stessa fede cristiana, ci impone di sperare anche quando le speranze sembrano spente …

E d’a1tra parte, la stessa speranza ci invita a vedere la dinamica della storia presente, nonostante le tremende fratture che internamente la dissociano, come animata da una finalità fondamentale: quella di promuovere ed elevare verso i più alti livelli della civiltà e della dignità umana popoli e nazioni di interi continenti e di costruire, così, una nuova più vasta – perché totale – unità organica fra tutti i popoli e le nazioni della terra.

Si tratta di una unificazione che tocca tutti gli elementi costitutivi della vita, dei popoli: unificazione tecnica, economica, sociale, culturale, politica e anche, in senso vasto, religiosa.

Unificazione, cioè, che tocca, le fondamenta e i muri maestri e la volta, stessa di tutte le civiltà oggi presenti sulla faccia della terra.

Ma si tratta, forse, di una unificazione senza diversità? Della riduzione, cioè, a una, piatta uniformità, di tutte le ricchezze di cui consta il volto e la struttura medesima dei popoli, delle nazioni e delle civiltà?

La risposta non è dubbia: no; unità, ma nella diversità …

Ecco il “tema”, per cosi dire, che la storia umana sta svolgendo in questi tempi nostri così calamitosi, ma anche così ricchi di germi e di speranze per l’avvenire.

Basta pensare alla “scoperta storica” recente, in certo modo, dei popoli e delle nazioni e delle civiltà afro-asiatiche: dopo le scoperte geografiche della fine del 1400 queste scoperte storiche e politiche odierne costituiscono il fatto più determinante della storia del mondo.

Le prime hanno dato volto e finalità alla storia di questi ultimi cinquecento anni di storia umana; le seconde daranno forse volto e finalità alla storia del terzo millennio che già si profila, da lontano dinanzi al nostro sguardo; levate capita et videte (Gv 4,35), è il caso di dire con l’Evangelo.

 

***

 

La relazione è stata pubblicata su Il Margine (vedi sotto) e nel libro Ricordati che sei stato straniero anche tu.

 

 

Gli Atti della scuola estiva della Rosa Bianca “Spezzare le catene. Immigrati e oppressi provocano l’Europa” sono stati pubblicati sul n. 5-6 / 2000 del mensile Il Margine

 

La quarta di copertina del Margine n. 5-6 / 2000.

 

***

 

L’associazione Rosa Bianca è tornata per la sua scuola estiva a S. Cosimo alla Macchia l’anno successivo con questo programma:

 

“Tante stelle un unico cielo. La risposta della società e della Chiesa alla paura dello straniero”.

Programma della scuola estiva di formazione politica della Rosa Bianca e del Margine, S. Cosimo alla Macchia, Comune di Oria (Brindisi), 26-30 agosto 2000.

 

 

 

 

Di questa “scuola” non sono stati pubblicati gli Atti.