Giornata della memoria. Silvia Forti Lombroso: «Una coppia come tante» e «I ‘pietisti’»

Silvia Forti Lombroso

“Ripenso a voi, nobili e cari e indimenticabili amici che ci siete venuti incontro nell’ora del dolore…

Una parola fu coniata per voi: “pietisti”, e vi fu gettata in faccia come un’accusa.”

 

 

 

Silvia Forti Lombroso (Verona 1889 – Roma 1979), di famiglia ebrea, scrittrice, sposò Ugo Lombroso, professore universitario, pure di famiglia ebraica, figlio di Cesare Lombroso.

Colpiti dalle leggi razziali del 1938, i coniugi Lombroso dovettero abbandonare la loro casa e rifugiarsi in Francia.

Pubblichiamo alcuni passi del bellissimo diario di Silvia Forti, pubblicato nel 1945, e recentemente ristampato, “Si può stampare. Pagine vissute 1938-1945”.

In queste pagine di diario troviamo i due volti dell’Italia al tempo delle persecuzioni antiebraiche: quello assolutamente predominante dell’indifferenza, della complicità, del consenso, dell’ipocrisia (ben rappresentato dalla coppia di vicini desiderosi di arraffare a prezzo irrisorio i loro cari oggetti), e quello assolutamente minoritario chi non rinunciò a proteggere gli ebrei, pagando duramente per questo.

Questi ultimi erano definiti, con disprezzo, dal regime e dalla stampa “pietisti”. Come oggi vengono spesso definiti, con analogo disprezzo, a partire dal primo partito italiano, “buonisti” coloro che soccorrono e accolgono i profughi.

“Giustizia, tolleranza, solidarietà, pietà, sono i nemici peggiori, e vanno combattuti con ogni arma”, scrive Silvia Forti. Parole tragicamente attuali.

 

 

Una coppia, come tante

Genova 8 ottobre 1938

“Sto disfando la casa; suona il campanello. È la signora di sopra che si informa se è vero che c’è qualcosa da vendere. Sì, qualcosa c’è; la casa è grande; in questa tragica ignoranza di come andranno le cose, non posso, non voglio conservare tutto.

La signora entra; rotondetta, elegante, seguita dal marito più piccolo, più rotondo: la signora è disinvolta, il marito imbarazzato. Porgo la lista delle cose da vendere e silenziosamente accompagno i visitatori. Guardano, palpano, parlano sottovoce fra loro, aprono gli sportelli, caccian occhi e mani dappertutto…

So che hanno una casa da pescicani, di un orribile gusto provinciale; sorrido dentro di me pensando come sarà infelice lassù il nostro piccolo Guardi, come arrossirai di vergogna le damine in rilievo delle mie antiche tazze Capodimonte!

Se Dio vuole hanno finito; il marito tossicchia sempre più imbarazzato; la faccia gli si è fatta ancor più lucida; gira e rigira il cappello fra le mani.

La moglie prende un’aria contrita, metà condoglianza, metà commiserazione che nasconde l’ansia astuta di fare un buon affare; le dispiace proprio… ma chi l’avrebbe mai pensato… ma son cose che passano… bisogna farsi forza…; intanto loro prenderebbero questo e questo e questo  – Enumera le cose, offre il prezzo; meno di un terzo di quello segnato sulla lista.

O mio caro piccolo Guardi, o assonnate pastorelle civettuole, o preziosi cinesini dalla faccia tonda ed ermetica chiusi nelle vostre celle d’avorio, dormite tutti assieme un lungo ma onorato sonno in qualche buio magazzino fra l’odor della polvere e l’onesto faticare dei ragni! La ricca signora rotondetta non vi avrà.

Avete visto come l’ho accompagnata alla porta, senza una parola, con un gelido, superbo, distante sorriso?

“Questi ebrei, che arie! Niente riesce ad umiliarli!” – Ma questi altri, – dite voi -, che brava gente, e niente affaristi…; si accontentano di andare un po’ a caccia, quando capita, quando hanno speranza di far come i corvi, e disputarsi a pezzi i resti di un cadavere.

 

I “Pietisti”

Genova 10 ottobre 1938

Rileggo quello che ho scritto, e mi fa pena, e vorrei cancellare, perché ripenso a voi, nobili e cari e indimenticabili amici che ci siete venuti incontro nell’ora del dolore con tanta delicata comprensione, con generosità così calda, con così consolante e coraggioso disinteresse!

Siete sparsi un po’ dappertutto, dalla Liguria rude ma sincera, alla cara lontana Sicilia, e nell’agonia dei giorni tormentosi, i fili d’oro della vostra amicizia ci hanno protetto, con un velo impalpabile, dalle ferite più crudeli.

Una parola fu coniata per voi: “pietisti”, e vi fu gettata in faccia come un’accusa.

Come pietisti l’avv. R e il dr. B. furono mandati al confino; e con loro quanti altri! La nuovissima civiltà infatti ha paura specialmente di una cosa: di lasciar sussistere negli individui dei sentimenti umani.

Giustizia, tolleranza, solidarietà, pietà, sono i nemici peggiori, e vanno combattuti con ogni arma.

E curiosa è la “reazione”, cioè la “non reazione” che ho osservato nelle persone anche intelligenti, anche buone.

Protesterebbero se voi diceste loro che sono inumani, anticristiani; eppure, in pratica, si sforzano giorno per giorno di diventare un poco più indifferenti al tormento degli altri; e se proprio qualche scrupolo rimane, lo fanno tacere; e si consolano dicendo che, in fondo a questa campagna ci deve essere “una ragione”, un qualche cosa di misterioso, che nessuno ha scoperto mai, che nessuno sa cosa sia, ma che “ci deve essere”, assolutamente “ci deve essere”, non fosse che per permettere a questa brava gente di dormire i propri sonni tranquilli.”

 

(Silvia Forti Lombroso, Si può stampare. Pagine vissute 1938-1945, Dalmatia, Roma, 1945, pp. 15-18; ristampa Il Prato, Saonara (PD) 2019, euro 15)

 

Silvia Forti Lombroso pdf